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ELYSIUM di Neill Blomkamp

elysium (5)

REGIA: Neill Blomkamp
SCENEGGIATURA: Neill Blomkamp
CAST: Matt Damon, Jodie Foster, Sharlto Copley
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2013

NON SI ESCE VIVI DAGLI ANNI 80…O FORSE SÌ

Nell’anno 2154 la popolazione della Terra vede i più poveri soccombere su un pianeta ostaggio del caos e dell’inquinamento in un mondo discarica in cui convivono inglese e spagnolo, mentre ricchi e benestanti si rifugiano in una lontana stazione spaziale orbitante. Grazie ai progressi della scienza gli “eletti” si curano dalle più terribili malattie e ringiovaniscono in nuclei abitativi sfarzosi non troppo dissimili da certi agglomerati suburbani americani. Allo scopo di preservare la purezza del luogo, lo spietato Ministro Delacourt ordina di reprimere con la forza ogni sbarco clandestino. Se in District 9 il diverso da sottomettere era rappresentato da una massa di alieni insetti prigionieri di un’infame bidonville, qui gli emarginati sono lavoratori sfruttati e criminali. Quando il destino avverso colpisce in pieno un operaio (convincente Matt Damon) costretto alla sua ultima disperata impresa ogni speranza di rivolta appare vana. Sarà la rinascita in corpo-macchina (grazie all’impianto di un esoscheletro) a restituirgli le forze per condurre in porto una guerra per la giustizia. Elysium non ha nulla di originale (è tutto già visto, letto, sentito) eppure diverte grazie alla scelta degli autori di puntare su una fantascienza vintage, capace di suggerire anche qualche riflessione. Non tutto funziona in fase di sceneggiatura (la parentesi sentimentale è assai blanda) e certo da un prodotto di questo tipo non ci si poteva aspettare l’introspezione psicologica o chissà quale colpo d’ala, ma la regia funziona e la fotografia del solito Trent Opaloch incanta. Lo scontro di razze del fortunato lungometraggio d’esordio assume qui le sembianze di una non troppo velata lotta di classe. Sin dai primi lavori del giovane cineasta sudafricano si intuivano le ossessioni presenti anche nell’ultimo action movie: il confronto essere umano con l’Altro, la necessaria ibridazione, un gusto spiccato per lo stile sporco, nervoso, quasi da reportage. Neill Blomkamp non è il primo che guarda al futuro per mettere in scena le angosce e i pericoli di un presente sempre più minaccioso. Il cinema riflette continuamente sulla condizione di un’umanità preda di diseguaglianze sociali per ambienti aridi e infetti, densi di lotte e catastrofi dove, il genere spogliato di orpelli e di grandi effetti speciali restituisce allo spettatore la visione distopica di un oggi tetro e inquietante: si pensi a Hunger Games di Gary Ross, In Time di Andrew Niccol o ancora The Purge di James De Monaco dove si dichiara ufficialmente aperta la caccia al nero. Dopo il suo folgorante debutto (altro manifesto sci-fi con astronavi e alieni con piedi ben piantati per terra) il filmaker di Johannesubrg riunisce un cast hollywoodiano (da ricordare anche un’algida Jodie Foster) e guarda al passato. Le suggestioni più interessanti sembrano provenire dal blockbuster muscolare e spavaldo, anni ottanta condotto da onestissimi artigiani: l’asfalto polveroso e bruciato dal sole non può non ricordare il far west post atomico di George Miller, mentre ritmi forsennati e alcune trovate sono degne del miglior Paul Verhoeven. Il ritratto del folle soldato Kruger (spassoso Sharlto Copley) una sorta di mercenario messo al bando e poi sguinzagliato per fare pulizia non sfigurerebbe accanto a qualche icona del calibro di Michael Ironside o Kurtwood Smith e quella sua “cazzo di telefonata”.

Chi cantava Non si esce vivi dagli anni ottanta probabilmente sbagliava e di grosso.

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