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Tattoo you: ALABAMA MONROE – UNA STORIA D’AMORE di Felix Van Groeningen

alabama monroe (1)

REGIA: Felix Van Groeningen
SCENEGGIATURA:  Felix Van Groeningen e Carl Joos
CAST:
Johan Heldenbergh, VeerleBaetens
ANNO: 2012

Elise e Didier condividono una passione travolgente. Lei amministra uno studio di tatuaggi, una delle cose che più ama al mondo. Li usa, come i pirati e le rockstar, per affrescare il proprio corpo, in modo tale che ogni tattoo racconti una parte della sua vita, che ogni immagine sia una storia. Il risultato è una sensualità aggressiva, consapevole fino in fondo di ciò che la propria apparenza può dire di se stessa agli occhi degli altri. Didier, invece, è un americanofilo convinto che degli Stati Uniti sposa l’ideologia, i modelli (dal self-made man alla terra delle opportunità) e perfino le sonorità, senza mediazioni di sorta, con un vigore piuttosto rude che ha del brutale.

Didier adora il bluegrass, ovvero il country nella sua accezione più pura e meno mediata. Si tratta di un sottogenere, ma così aperto alle contaminazioni di altri generi musicali e alle più disparate influenze geografiche da venir fuori come un perfetto esempio di meltin’ pot in note (dunque di qualcosa di americano in maniera quintessenziale). Quella musica è il simbolo della sua nazione, il vessillo della propria appartenenza. Il film ne è così permeato da travalicare la sua origine belga, marcando così una differenza non da poco anche rispetto agli schemi del cinema europeo più comune e riconoscibile (si pensi al cinema di due grandi registi belgi, i Dardenne). E’ un’alterazione che però mal funziona: nella riproduzione dell’americanità il film è senza ombra di dubbio fedele a un preciso codice rappresentativo e i numeri musicali possono a tratti apparire più che godibili, ma è il reticolato nel quale sono inseriti a suscitare più di un dubbio.

Lo sguardo d’insieme di Alabama Monroe è infatti viziato da un’indulgenza sospetta nel dramma (l’arrivo di una bambina di nome Maybelle nella coppia avrà conseguenze tragiche), che in più punti s’impantana in una discutibile e programmatica pornografia del dolore e si lascia andare a grossolane derive di tensione, recitazione e regia. Non basta infatti, per rimanere a un mero livello compositivo, accostare una serie di scene di sesso dal consistente impatto ad altrettante sessioni di esecuzioni live per scolpire il film nella materia carnale del coinvolgimento, sia fisico che emotivo: la successione alternata di questi due moduli registici degenera semmai in una sensazione di falsità anch’essa abbastanza meccanica, che estingue ben presto ogni nota di interesse e contribuisce a rendere posticci gli snodi della vicenda.

Alabama Monroe – Una storia d’amore, come recita il paradigmatico titolo completo italiano, è un film che collassa ben presto sotto il peso della ripetizione senza motivazione: al di là della giustapposizione non resta granché, il contrasto non viene problematizzato e rimangono a galla solo i toni sguaiati e sopra le righe. Emblematico in tal senso il finale, che vomita didascalicamente sullo spettatore il contrasto radicalizzato tra ragione e religione, portando a compimento un processo di over-actingche in molte scene precedenti e in tanti dialoghi si era già pericolosamente presentato. Il vizio capitale e non perdonabile di un film che si compiace maledettamente e fastidiosamente della propria natura idealmente scomoda di storia d’amore borderline. Una convinzione, quest’ultima, che produce una tendenza alla sovraesposizione volgarissima, sempre urlata e mai sussurrata neanche nei frangenti più raccolti che pure sembrerebbero richiederlo a gran voce. Van Groeningen sbaglia così sia i tempi che i modi del racconto, dilatando gli uni dove non dovrebbe ed esasperando gli altri, laddove invece una cautela maggiore e una delicatezza meno prorompente sarebbe stata un vero toccasana. In questi termini, con un’esasperazione caricata ad invadere ogni centimetro di dolore come di passione, non resta che compatire le macerie di un film quasi del tutto sbagliato. Cosa che però non gli ha impedito di fare incetta di premi qua e là e di guadagnarsi addirittura la nomination all’Oscar come miglior film straniero.

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