visioni-up

Cannes 2018: DOGMAN di Matteo Garrone

dogman

REGIA: Matteo Garrone
SCENEGGIATURA: Marcello Fonte, Edoardo Pesce
CAST: Scarlett Johansson, Takeshi Kitano, Michael Pitt, Juliette Binoche
ANNO: 2018
PRODUZIONE: Italia, Francia

Mentre Sorrentino rimane fuori dalla porta, Matteo Garrone e Marcello Fonte hanno il loro piccolo-grande trionfo.

Nella filmografia di Garrone non siamo giunti certo a una rivoluzione (tentativo di ciò fu, ma solo in parte, Il racconto dei racconti, per quanto colpito-e-affondato), ma al consolidamento di una certezza. Quando si ha una certezza? Quando una ripetizione ci soddisfa, quando siamo lì a godere dei particolari, dei microscopici cambiamenti, dell’eco. E la filmografia di Garrone è il percorso di questa eco, di questo effetto doppler dato da un’ambulanza, giunta al suo culmine con Reality e che da lì dolcemente scivola verso chissà quali mete.

Nuovamente Garrone ci porta dentro una favola, una favola che unisce l’immaginario medievale (è la sua forza farcelo percepire incessantemente, sia a Scampia che in una ricreata/innominata Magliana che in realtà è Castelvolturno) all’istintualità umana di oggi. I suoi sono tutti dei Ninetti Davoli (questa volta infelici, al contrario di quel che accadeva in Reality) ed insieme animali messi davanti di fronte alla pura e semplice necessità dettata dall’istinto di sopravvivenza.

Ed è chiaro fin dal titolo che ciò che ci viene raccontato è la storia di un cane e di un altro cane. Un cane buono e di un cane cattivo. Di uno che abbaia, morde, sbrana e di uno che ha morso una volta sola. Insieme li vediamo cacciare altri animali, più piccoli di loro, ma è il loro essere bestie senza altra possibilità a tenerli uniti. Hänsel e Gretel, una trappola. Una macchina da presa elegante e innamorata, ché della periferia e della miseria subisce il fascino, seguendone le linee più voluttuose (al contrario della stragrande maggioranza del cinema che dei ghetti prende solo ciò che gli serve) ed onorandole.

Forse la caratteristica chiave del cinema di Garrone è proprio questa: il rispetto, anche del peggio.

E se questo romanticismo spesso arriva ad assumere l’aspetto di una cattedrale, in Dogman le linee sono morbide e austere, i ghirigori moderati, le cuspidi smussate, tutto in tufo; e in certo qual modo si tratta del suo film più moderato ed insieme avvolgente.

Condividi

Articoli correlati

Tag