love will tear us apart

Love will tear us apart – L’inganno e la metamorfosi: M. BUTTERFLY di David Cronenberg

 m butterfly (1)

REGIA: David Cronenberg
SCENEGGIATURA: David Henry Hwang
CAST: Jeremy Irons, John Lone, Barbara Sukova, Ian Richardson, Annabel Leventon
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 1993

“Sono un uomo che ha amato una donna creata da un uomo”

L’amore che trascende la carne e i suoi confini, andando al di là dei limiti corporei nel suo essere solo illusoriamente puro, in realtà più che mai ingannevole. M. Butterfly (1993), di David Cronenerg si colloca nella filmografia dell’autore tra Il pasto nudo (Naked Lunch, 1991), Crash (1996) e il successivo eXistenZ (1999), dando vita a un’ideale e ipotetica “tetralogia della metamorfosi”, che ha inizio col film tratto dal romanzo di William S. Burroughs, eco allucinatorio di mutazioni kafkiane. In M. Butterfly, l’uomo trascende la propria natura maschile mentre in Crash unisce le proprie carni all’organismo-macchina, in una simbiosi reciproca che è amplesso supremo. In eXistenZ, l’atto videoludico diviene appendice del corpo, i joypad organici sono estensioni della carne, così come in Videodrome (1983) il segnale televisivo pirata portava allo sviluppo di un tumore cerebrale, che non era soltanto malattia bensì evoluzione della fisiologia umana.

Tratto dalla pièce omonima del 1998 firmata da David Henry Hwang (anche autore dello script della pellicola), M. Butterfly rappresenta l’annuncio del nuovo corso del cinema cronenberghiano, il passaggio dalla forma orrorifica a una messa in scena di carattere più tradizionale. Il film uscì nel 1993, riscuotendo scarso successo al botteghino; c’è da considerare che nel medesimo periodo erano giunti in sala altri due film a tematica simile: il magnifico La moglie del soldato (The crying game, 1992) di Neil Jordan e l’altrettanto notevole Addio mia concubina  firmato da Chen Kaige. Tuttavia, se le tre opere partono dallo stesso spunto (travestitismo e ambiguità sessuale), la pellicola di Cronenberg porta avanti un discorso altro, profondamente personale e inserito nella poetica dell’autore.
A fare da sfondo alla vicenda vi è un vero fatto di cronaca che vedeva protagonista un diplomatico francese, Bernard Boursicot, e un attore cinese dell’Opera di Pechino, Shi Pei Pu, in realtà spia per conto del governo e col quale Boursicot iniziò una storia d’amore credendolo una donna: è cosa nota infatti che nel teatro pechinese i ruoli femminili fossero ricoperti da uomini en travesti, poiché la recitazione era interdetta alle donne. Si ritrova però una fondamentale e importante differenza fra la storia reale e ciò che viene mostrato nel film: Boursicot aveva precedentemente incontrato Shi Pei Pu in abiti maschili, divenendone amico. L’attore/attrice motivò la trasformazione raccontando al diplomatico che era stata costretta a vestirsi da uomo per evitare che il padre si sposasse una seconda volta, gettando così vergogna sulla madre che aveva già due figlie femmine.
Tutto ciò non accade in M. Butterfly: René Gallimard (Jeremy Irons) incontra Song Liling  (John Lone) vedendolo in quanto donna, con indosso gli abiti femminili della protagonista della Madama Butterfly di Giacomo Puccini, opera della quale il film è vera e propria allegoria, trasposizione realistica di una tragedia fittizia. L’opera dell’autore canadese verte su due tematiche di fondo: l’inganno e la trasformazione; il primo, è concetto assai più complesso e sfaccettato di quanto possa apparire a primo acchito. L’inganno, che è in origine il tradimento subito da Butterfly nell’opera pucciniana, qui è molteplice, e si spinge ben oltre la superficie della menzogna portata avanti da Song Liling: Gallimard illude in primis se stesso ma anche e soprattutto Liling, nel suo innamorarsi di un’idea, un’immagine stereotipata di donna orientale che è geisha fedele del “diavolo bianco”. Se l’uomo abbia compreso o meno la reale identità sessuale dell’oggetto amato poco importa, in quanto egli ama ciò che lei rappresenta, non ciò che è in realtà: “tu non mi hai mai amata”, gli dice Song in abiti maschili dopo l’arresto. Il personaggio di Gallimard è tuttavia in perenne contraddizione: in assenza di un rivale (o una rivale, così come accade sia nel film di Jordan che in quello di Kaige) che si opponga in modo più o meno violento, egli diviene avversario di se stesso, in una sorta di “sdoppiamento” che rimanda, inevitabilmente, al doppio ruolo di Irons in Inseparabili (Dead Ringers, 1988). L’uomo occidentale, colmo di pregiudizi nello scorgere poesia e bellezza nella totalizzante e tragica devozione di Madama Butterfly verso il marito americano fedifrago, si trasforma egli stesso in geisha, amante mite e servizievole,reso cieco dai propri sentimenti, ignorando (o fingendo di ignorare) ciò che è, per contro, palese allo spettatore; la metamorfosi diviene fisica e palese nello splendido e straziante finale, con Gallimard che mette in scena l’ultimo, definitivo atto della sua storia.
Il cinema di Cronenberg da scientifico diventa umano nel senso più viscerale del termine ma senza perdere quella sorta di distacco che gli è proprio: non vi è alcun giudizio morale, bensì l’esposizione di una vera e propria tragedia privandola però di ogni tipo di patetismo ed evitando le tine fosche ed eccessive, mantenendo dunque un equilibrio oggettivo, una sobrietà di fondo che non sconfina mai in freddezza. M. Butterfly è dunque non soltanto la storia di un inganno, o di un amore che supera i confini della forma/corpo, ma soprattutto di una metamorfosi: lunga, sofferta, dolorosa e ineluttabile.  

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