love will tear us apart

Love will tear us apart – L’immagine dell’amore: LA RAGAZZA DEL BAGNO PUBBLICO di Jerzy Skolimowski

la ragazza del bagno pubblico (2) 

REGIA: Jerzy Skolimowski
SCENEGGIATURA: Jerzy Skolimowski, Jerzy Gruza, Boleslaw Sulik
CAST: Jane Asher, Karl Michael Vogler, John Moulder-Brown, Diana Dors
NAZIONALITÀ: UK/Germania
ANNO: 1970

Non è il miglior lavoro che si possa sognare, l’addetto a una piscina pubblica, quella figura nell’ombra dell’indifferenza che fa cose poco stimolanti (e piuttosto umilianti) come pulire i cessi e accogliere clienti scortesi – visto che la maggior parte di tali avventori sono omaccioni pronti ad allungare le mani oppure signore vogliose che ti violentano con il solo arruffarti i capelli. Eppure è il miglior lavoro che l’imberbe teenager Mike possa agguantare, proprio perché volenteroso, ingenuo e inesperto. E soprattutto diventa il miglior lavoro del mondo quando in quel buco di posto trova colei che diventa la donna dei suoi sogni, la fantasia a qualche centimetro dalla realizzazione.

Solo che Sue non è un oscuro oggetto del desiderio. È dolce, arguta, rossa di capelli, quasi solare. È puro desiderio nell’ottica dell’amore adolescenziale, pieno e perfetto e totale, è puro desiderio per un quindicenne perché pizzica le prime prepotenti pulsioni sessuali.
Sue è gentile, è sorridente, è bella. È luce. Anche se, sì, le sue zone oscure potrebbero quasi mangiarla. Perché forse fa la prostituta, forse il suo uomo la picchia e lei lo accetta, forse le piacerebbe tradirlo e quasi lo fa ma poi manda alla polizia l’innamorato innocuo.
E però non importa niente, perché quello che conta è l’immagine, la sua immagine, e l’amore che ne scaturisce. L’amore che scatta mentre all’improvviso per qualche secondo ci si trova naso a naso, in una pausa banale come ogni altra, mentre lei scherza con una locandina politica che vorrebbe contrastare ma si ingarbuglia nelle parole. L’amore che si rapprende da un manifesto, unico sottile elemento a separare le loro labbra, l’amore che si sublima in una sagoma di cartone, un’immagine gettata in acqua, cullata, stretta a sé per quei pochi istanti umidi che la dividono dal dissolversi tra i flutti (inevitabile profezia di ossessione e tragedia).

L’amore, inafferrabile, di intrinseca catastrofe interna. L’immagine dell’amore. Sempre più vischioso, sempre più miraggio tenebroso, corrosivamente sessuale (nel cinema porno, nell’incontro con la prostituta; e poi nel pre-finale in cui l’amplesso non viene consumato, la fantasia è ormai troppo enorme e inafferrabile per aderire alla realtà, già orgasmica nel suo essere già immaginata e già appagata).
L’immagine dell’amore è il simulacro che poi si fa morte in un finale di rarissima tragedia, quanto mai (nonostante i segnali, nonostante i sintomi a ferire il volto bambino di Mike) improvvisa e inevitabile. Innescata dalla una follia impulsiva, ma anche dalla fragilità e dall’incoscienza. Da un semplice brusco gesto di rabbia, o di ripicca, o di stupidità. La banalità dell’istinto, l’ingenuità delle piccole cose dei grandi che non sono ancora nostre, quei sentimenti e pulsioni che non si sanno gestire, che iniziavano a ribollire in una sala a luci rosse dove vedeva solo la bellezza della schiena in controluce della nostra amata. L’ingenuità dell’adolescenza, che uccide senza volore ciò che ama, imbrattata da un amore che è troppo. Troppa luce, troppo buio, troppo lontano, troppo violento, troppo dentro gli occhi di Mike per arrivare a capirne il pericolo.

Sue, Susan, non più (non mai) persona, soggetto d’amore, nella morte diventa (ritorna) obnubilante e fagocitante oggetto. Un’immagine, il cui abbraccio, stavolta fatale, viene riproposto nella realtà: è forse ancora convinto, Mike, che si tratti di un sogno. Forse di questa morte che accade neppure si rende conto, perché è già in paradiso. (To die by your side is such an heavenly way to die. Anche se tu non sai e non saprai.) Stretto all’immagine del suo disperato desiderio, un’illusione che lo scalda sott’acqua, sotto la vita, dentro la morte, dentro l’immagine dell’amore. Deep End: la fine era scritta nel cavo, nelle profondità fatali del sentimento, là dove è immortale e letale.
Film immenso questo di Skolimowski, scritto col sangue fin dai titoli di testa; supremo capolavoro sullo sguardo (dell’amore, nell’amore), le sue feritoie, le sue ferite, la sua immensa impotenza.

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