(Interstellar) overdrive

(Interstellar) overdrive – sulla rotta di Nolan: FOLLOWING

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REGIA: Christopher Nolan
SCENEGGIATURA: Christopher Nolan
CAST: Jeremy Theobald, Alex Haw, Lucy Russel, John Nolan
NAZIONALITÀ: UK
ANNO: 1998

Il pedinamento è la vera ossessione del cinema di Christopher Nolan. Ogni opera presenta la stessa
sequenza: qualcuno o l’idea di qualcosa che (s)fugge braccato da chi l’insegue. Ma per affrontare l’Altro bisogna misurarsi con se stessi. Dietro l’essere umano si nasconde una soluzione avvolta da una luce accecante tesa a offuscare la mente o ci si ostina a credere nella magia quando la realtà assume i contorni di una labirintica prigione di specchi. Il suo primo lungometraggio vede al centro della storia un uomo e il suo doppio, l’assurdo e l’atroce inganno. Un racconto intenso, affascinante, cervellotico e curioso capace di suscitare le simpatie e attenzioni.

Vincitore del Festival di Rotterdam è il classico esordio da ricordare: girato solo nei week end con un bianco e nero su pellicola 16mm e un cuore noir teso a sfociare negli angoli più cupi della narrazione (la voce off, la detection, la presenza di una dark lady) racchiude tutto il talento e l’ambizione di un raffinato autore inglese. Nolan ha sempre avuto il merito di saper mettere d’accordo un pubblico in cerca di stimoli e riflessioni con un altro amante dell’azione e delle mosse indovinate da blockbuster intelligente. Da gioco di squadra qual è la settima arte, i meriti vanno divisi con alcuni fidati e storici collaboratori: le intuizioni del fratello Johnatan e la competenza nel genere fumettistico di David S. Goyer, la suggestive atmosfere create da Wally Pfister e le ipnotiche inquietanti musiche di David Julyan (poi sostituito da Hans Zimmer).

Following narra di un aspirante scrittore in cerca di idee da mettere su carta il quale, per noia e senza badare troppo alle conseguenze delle azioni, inizia a seguire altre persone. Il protagonista Bill (Jeremy Theobald) si prefigge alcune semplici regole: mai seguire le donne sole nei vicoli bui e mai pedinare la stessa persona più di due volte. Naturalmente le infrangerà entrambe incappando nel lato più pericoloso e letale del beffardo piano. Lo spazio anonimo, rarefatto, carpito come universale di un non luogo comincia a restringersi sempre di più fino a portare a un vero e proprio rifugio claustrofobico. Quella massa informe, confusa, astratta assume a poco a poco i tratti di una figura umana da studiare nel minimo dettaglio. Cobb (Alex Haw).

Il profilo di un criminale pulp story da quattro soldi cela un illusionista assai singolare. Egli può essere definito un ladro di ricordi. Un tale che si diverte a irrompere nelle case della gente quando i proprietari sono assenti per prendere oggetti di valore. Intimo, personale e affettivo. Tutti hanno una scatola in cui conservano segreti, memorie, indizi utili a tracciarne l’identità afferma con distacco. Ogni elemento costituisce la pagina di un diario di quella persona. Penetrando all’interno delle abitazioni, sottraendo o semplicemente spostando alcuni oggetti da dove si trovano, la vittima si renderà conto di ciò che aveva realmente. Questo spirito nichilista sedotto dal lato oscuro è eccitato dall’idea di provocare una sorta di sconvolgimento esistenziale nell’animo delle ignare vittime. Niente denaro né cose preziose. Tale concetto porterà fortuna al regista che “lo sfrutterà” a più riprese per trasfigurare il Caos nelle fattezze variopinte ed eccentriche di quel Joker attratto dal Male nella sua essenza più etica e filosofica e, successivamente, lo riprenderà per il personaggio del rapinatore di sogni (Dom Cobb) nel suo lavoro più audace e complesso. Nelle mani del giovane londinese anche il tempo esplode con deflagrante potenza.

Lo spettatore si immerge in un altrove disturbante in cui presente e passato e futuro si confondono recisi da un audace montaggio, da continui cambi di prospettiva e inserti flashback. In tutto questo saranno il caso e l’ingenuità ad abbattersi sull’ambizioso Bill condannato a conoscere tutti i colori della sconfitta, non ultimo la perdita di se stesso. Come diceva qualcuno la vita è un trucco. Anche il buon cinema.

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