Weird girls

Weird girls – Il cinema di Lucky McKee: MAY

may 2

REGIA: Lucky McKee
SCENEGGIATURA: Lucky McKee
CAST: Angela Bettis, Anna Faris, Jeremy Sisto, James Duval
NAZIONALITÀ: USA 2002

Negli angoli più reconditi della mente umana sono custoditi oscuri segreti, impulsi repressi e ricordi sbiaditi che possono tornare a pulsare violentemente a causa di un impatto feroce con la realtà o di un improvviso dejà vu. E così, bambole di porcellana cresciute sotto campane di vetro perdono la loro corazza e guadagnano le prime crepe, più profonde nell’anima che nel corpo. L’immobilità eterna e stantia lascia lentamente il posto ad una rabbia omicida, ad un odio perverso, a un’indescrivibile sete di vendetta nei confronti di un’adolescenza negata e di una vita vincolata al proprio status. Giocattoli imballati nelle proprie confezioni sono costretti a guardare con occhi vitrei i propri padroni mentre modellano le loro esistenze secondo le richieste della stessa società che li esclude. Dietro di loro, burattinai viziosi ne intrecciano i fili, ne manipolano le storie e ne suggellano i caratteri con patologie inconsce prepotenti. Creano eroine dannate, cattive e maledette che dopo aver passato nell’ombra gran parte della loro vita, finiscono sotto i riflettori e si rivelano pericolose, letali e biblicamente apocalittiche.

Sin dalle sue prime opere, Lucky McKnee si dimostra un abile stratega, un manipolatore di cervelli, un sadico femminista che si diverte a dare filo da torcere agli uomini tanto quanto Tarantino o Besson. Prima ancora del cannibalismo estremo di The Woman o del tocco sovrannaturale di The Woods, il regista aveva creato May, un collage di perversione, violenza e brutalità animale che dava vita a un orrore psicologico di stile hitchcockiano a cui aggiungeva sfumature gore e scene slasher di alto livello estetico e formale.
La protagonista è una freak dalla nascita: a causa del suo strabismo, la madre la costringe ad indossare una benda nera sull’occhio e ad affrontare gli anni più duri della sua vita divincolandosi tra gli scherni dei suoi coetanei e le cattiverie bisbigliate dagli adulti. Il suo unico rifugio è il placido consenso di Susan, la sua bambola speciale, che dietro alla corrucciata espressione del volto, nasconde il riflesso della profonda insicurezza della sua padrona. Sorta di Sally burtoniana, la ragazza cuce  accuratamente i suoi vestiti unendo tessuti diversi, colori contrastanti e stili differenti per cercare di uniformarsi alla massa e mimetizzare il proprio disagio sociale. Nonostante tutti i suoi tentativi di essere accettata dalla società, però, la ragazza viene comunque vista come un mero fenomeno da baraccone da esibire soltanto alla fine dello spettacolo. Quando la condivisione del suo segreto porta l’inevitabile rottura della sua labile integrità psichica, l’inerme baccello si infrange, spargendo frammenti di desideri, emozioni e pulsioni che erano sempre rimasti in sordina, attendendo pazientemente il momento giusto per emergere. Derisione dopo derisione, la rabbia di May fuoriesce prepotentemente dal suo gracile corpo e si riversa sul mondo esterno, distruggendo tutto ciò che incontra. Il caos interiore della ragazza prende dunque il sopravvento sulla realtà e l’idea di creare un nuovo amico che non possa respingerla, ne colma il vuoto e ne sana il senso di abbandono e di rifiuto.

Divenendo contemporaneamente Norman Bates e Victor Frankenstein, unendo, dunque, desiderio di accettazione a fame di conoscenza, May produce una creatura ibrida di tutti i corpi umani che l’hanno attorniata, ferita e delusa creando un nuovo involucro incontaminato a cui concedere la sua amicizia. Simbolo di un’integrità finalmente conquistata, May può rimuovere il problema dalla radice, privarsi di ciò che la rende deforme e, quindi, rinunciare alla sua anima mortale per divenire eterna. La ragazza, infatti, è determinata e forte ma anche maledetta e  nefasta, tanto che sembra fuoriuscire direttamente dalle pagine dei romanzi di Poe e animarsi di quello spirito gotico e vittoriano che contraddistingue le grandi eroine della letteratura inglese. Assistita costantemente dalle altalenanti note stonate di Jaye Barnes Luckett, e supportata dalla narrazione centripeta confezionata da McKee, May si insinua nelle coscienze degli spettatori, ne cattura l’attenzione e ne brama il consenso. In questo modo, voyeur e attrice condividono lo stesso dolore, si sporcano entrambi le mani e finiscono per desiderare inconsciamente di diventare mefistofelici e demoniaci. 

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