REAL STEEL di Shawn Levy

REGIA: Shawn Levy
SCENEGGIATURA: Leslie Bohem, John Gatins
CAST: Hugh Jackman, Dakota Goyo, Evangeline Lilly
NAZIONALITA’: USA
ANNO: 2011

 IL FUTURO C’E’ EPPURE NON SI VEDE

“Tornare indietro nel tempo è impossibile” esclama Charlie Kenton, eterno numero due di un pugilato per uomini ormai in pensione, in un’epoca aperta sul ring solo ai robot. La battuta è pronunciata da Hugh Jackman interprete di Real Steel, pellicola diretta da Shawn Levy e prodotta da Steven Spielberg e Robert Zemeckis. Proprio le ossessioni di quest’ultimo cineasta (sempre troppo sottovalutato) sembrerebbero condurre questo classico e divertente lungometraggio sul riscatto nello sport così come nella vita. E’ curioso che un personaggio in qualche modo sotto la tutela del creatore della rivoluzionaria DeLorean, affermi una cosa tanto assurda. Ogni singola opera di Zemeckis manifesta non solo la possibilità di tornare nel passato, ma anche di modellarlo per ottenere un altro presente, con lo sguardo proiettato verso un nuovo futuro. Come per uno scherzo del destino quello stesso futuro nella finzione portava un nero garzone di bottega a diventare sindaco, incapace di prevedere nella realtà diversi anni più tardi un afroamericano come presidente. Il tempo allora diventa un fattore fondamentale in un film tutto giocato sul concetto di viaggio. L’on the road a bordo di un bestione su ruote nel bel mezzo di un’America rurale, tra fiere e rodei a caccia di carcasse metalliche da rimettere a nuovo, tirando su qualche dollaro, si fa metafora dell’arte senza tempo del cinema. La storia di Charlie si staglia tra le pieghe di un Paese colpito duro eppure capace di rialzarsi attraverso un percorso nella settima arte con capolinea gli anni Ottanta. Mentre scorrono immagini di duelli all’ultimo round fra robot pilotati dalla voce e da una sorta di consolle di ultima generazione, lo spettatore assiste a un rapporto padre e figlio simile a quello mostrato da Menahem Golan in Over the Top. Intrattenendo con intelligenza un pubblico di famiglie e, quasi mai barando, gli sceneggiatori adattano liberamente un racconto diRichard Matheson (già tradotto per il piccolo schermo in uno splendido episodio di Ai confini della realtà con Lee Marvin assoluto mattatore) e reinventano un universo di memorie. Lo stesso antieroe protagonista sembra essere uscito da una canzone di Bruce Springsteen mentre cerca di fare pace con una maledetta gioventù di false speranze accumulate sul polveroso quadrato di una palestra corrosa dai ricordi. L’ambientazione è quella del vicino 2020, però i segni del progresso sono appena percettibili: il futuro c’è eppure non si vede. E’ il salto nel buio di reminescenze in celluloide a fare il gioco. Il motel, i continui allenamenti al mattino, la tuta col cappuccio, l’incontro con il mostro sovietico, la novella del perdente, minuscolo ferrovecchio (non a caso la scelta del nome del robot ricade su Atom) eletto a campione della gente, rimanda ancora una volta a Sylvester Stallone e al mito di Rocky. Il regista, non certo nuovo a tematiche di impianto family (suo ancheUna notte al museo dove Ben Stiller cercava di riconquistare la fiducia del figlio) punta tutto sulla cura dei dettagli e sulla re immaginazione di scenari vintage offrendo un’opera prevedibile al contempo profondamente sincera. Real Steel è poi il classico esempio di un prodotto dal cast perfetto: Jackman da manigoldo disilluso a padre ritrovato convince, come pure la bellezza di Evangeline Lilly, ma è il piglio deciso e la caparbietà del piccolo Dakota Goyo a bucare lo schermo. Anche sotto il profilo tecnico, le cose funzionano se si pensa a un Danny Elfmansolo a tratti riconoscibile o alla fotografia di Mauro Fiore davvero affascinante. Pronti a incrociare guantoni con guerrieri di vero acciaio?

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