IN TIME di Andrew Niccol

REGIA: Andrew Niccol
SCENEGGIATURA: Andrew Niccol
CAST:  Justin Timberlake, Amanda Seyfried Cillian Murphy, Vincent Kartheiser, Johnny Galecki
NAZIONALITA’: USA
ANNO: 2011
USCITA: 17 febbraio 2012

CONCEPT & VITAMINE

Cresci, fino a venticinque anni. Da quel momento in poi il tempo sarà denaro, e insieme li conterai. E di ogni birra da cinque euro che ordinerai, invece che il prezzo, vedrai i tre quarti d’ora che hai dovuto lavorare per permetterla, e a quel punto anche quello passato a berla ti sembrerà buttato.
Di decadenza Andrew Niccol fa oggetto, concept, radice per muovere la sua estetica stretta e blindata. E nuovamente la capacità di focalizzarsi, e insieme la sua costituzionale impossibilità di essere sporco fino in fondo: il suo è un mettere-insieme da designer, alla ricerca di un’assenza di disperazione che spesso sfocia, in una mancanza di conflitto tale da lasciare sospesi in una bolla che riesce a filtrare, facendoli rimanere quasi del tutto al di fuori dell’umore (visivo quindi percettivo quindi emozionale), tutti i baratri possibili del dramma.
Il futuro che mette in scena non è e non può essere del tutto distopico, perché non è verso ipotesi/evoluzioni/regressioni che vuole spingersi, ma in qualcosa simile alla frattura di un singolo pensiero autodelimitante che, a partire da un’idea, piuttosto che decidersi a scardinarla e a farla esplodere, la concentra e sintetizza – lontano dal renderla aspra – all’essenzialità degli elementi chiave. Approccio clean ma non clinico. Evitare le divagazioni. Protagonisti non sono Justin Timberlake, Amanda Seyfried o Cillian Murphy, ma il concetto base tempo=denaro renderizzato ed una manciata di sue possibili applicazioni: si passa dagli slum all’action in abito da sera al Bonnie & Clyde senza che nulla venga aggiunto, evocato od invocato; l’avidità inscalfibile di Vincent Kartheiser trova tutte le sue giustificazioni così come l’autodistruggersi di Johnny Galecki viene ridotto ad una frase pronunciata dalla moglie.
Limitato parteggiare, perché un canovaccio ultra-classico lo permette, ma non troppo taglia-e-cuci avrebbe potuto invertire gli spazi di protagonisti e antagonisti. Il caschetto sixties di Amanda Seyfred fa da salvacondotto all’amore-criminale attorno cui roteare: con Timberlake in fuga senza meta, usciti da una rivista patinata, sexy collaudato, verso paesaggi vuoti e non narrati che sanno di tutto (ciò che possiamo fare, io e te insieme) tranne che di disidratazione.

Senza completi inferni o imperanti paradisi, deserti e lussuosi interni, strade e atri, giorni e notti paiono stare, lì, come quadri alle pareti: Niccol arreda l’uovo da cui non vuole uscire, si isola come il miliardario dell’ultimo episodio di Creepshow, con al centro gli avambracci di tutti, con i led del tempo/moneta precipitanti da secoli ad attimi e viceversa, congelando l’infinito e la morte in semplici cifre, schiaffi per ripetute istantanee che nei numeri diafani riassumono tutta la sete possibile. Se Inception di Christopher Nolan con il proprio concept inondava tutto, Niccol lo disassembla e lo incornicia. Countdown ingordi o prossimi alla fine, nelle immagini e nel gorgoglio degli effetti sonori, il diavolo affascinante sta lì, e ogni tanto si fa vedere, nel mentre che la regia per sottrazione-e-decorazione fa da schermo protettivo, rassicurante narratrice: come Gattaca teneva lontano la bestia del perfezionismo genetico e Lord of war era un Quei bravi ragazzi sul mercato nero delle armi, In time si rivela un equilibrismo sull’asettico, sull’essenziale, che piuttosto che nutrirsi di stilemi e clichè già masticati trova il punto medio e la sua cifra tra lontanissimi, tra il postatomico e Yves Saint-Laurent, evitando di masturbarsi (sporcherebbe, puzzerebbe) sulla sua fascinazione. Appagandosi e sentendosi al sicuro nel modernariato senza innovazione, ma funzionante: l’opposto del Cinema che per anni ha continuato a fare finta che non esistessero prima i cellulari e poi le chiavette usb. Ma Niccol sembra sapere che dieci chili di pellicola e un hard disk possono essere entrambi, diversamente, affascinanti.

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