verboten!

Texas addio: AIN’T THEM BODIES SAINTS di David Lowery

aint them bodies saints (3)

REGIA: David Lowery
SCENEGGIATURA: David Lowery
CAST: Rooney Mara, Casey Affleck, Ben Foster, Keith Carradine
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2013

«Well, the cop made the showdown
He was sure he was right
He had all of the lowdown
From the bank heist last night
His best friend was the robber
And his wife was a thief»

Crime in the City (Sixty to Zero Part I), Neil Young 

Esistono film inadeguati ad agire d’impatto, pressoché insensibili alla prima impressione, quasi fossero pensati per raggiungere il bersaglio emotivo prendendosi tutto il tempo di cui necessitano; un po’ come quei dischi che inizi ad apprezzare, e a comprendere veramente nella loro grandezza, dal secondo ascolto in poi.
Ain’t them bodies saints è uno di quei film.

Che si pronunci indipendente o meno, quando ci si mette d’impegno il cinema americano è tutt’ora in grado di raccontare storie con i controfiocchi, riverberandosi come universale e classico senza per questo sopire l’ardore giovanile di chi lo dirige. David Lowery è l’ultimo nome in ordine di tempo a meritarsi l’etichetta “da tenere d’occhio”: punti di riferimento trasparenti, personalità da vendere, maestria nel muovere la macchina da presa abbinata ad una efficace inclinazione per la scrittura, mai convenzionale, di situazioni e personaggi pulsanti empatia. Il suo Ain’t them bodies saints rilegge la tradizione western con struggente e malinconica poesia, guarda a Ford e Arthur Penn impadronendosi dell’antieroico spleen del primo (Sentieri Selvaggi) subito dopo aver asciugato la carica pulp e fumettistica del secondo (Gangster Story). L’azione c’è ma non si vede: come in ogni tragedia greca che si rispetti il movimento degli eventi è assegnato al fuoricampo, così da ritagliare sulla scena il giusto spazio per le conseguenze dei fatti, invero il piatto forte della pellicola di Lowery, capace di risolvere con la leggerezza di uno schiocco di dita rapine, sparatorie e evasioni al fine di concentrarsi sulle ripercussioni delle gesta.

Da un lato la tradizione, richiamata alla memoria attraverso i luoghi, le atmosfere e i simboli riconducibili al genere per eccellenza (casa, fattoria, chiesa, bounty killer, cappelli da cowboy e stivali), dall’altra la sua naturale evoluzione che, dall’ipotizzabile, sospetto e esclusivo omaggio  a Gangster Story, scarta immediatamente verso orizzonti più astratti, tipici del Malick degli esordi; formalmente esaltati da una fotografia calda e crepuscolare, prodigio di luci e colori allestito da Bredford Young sul quale l’obiettivo di Lowery incrocia le mai banali geometrie prospettiche, consentendo a Casey Affleck (assieme a Michael Shannon il miglior attore americano attualmente su piazza) e Rooney Mara di inscenare il loro personale rifacimento, arreso e disperato, di Bonnie e Clyde.

Senza tempo come la parabola drammatica che lo scandisce, Ain’t them bodies saints è quanto di più vicino si possa immaginare al cinema di Andrew Dominik: John Ford che legge Cormac McCarthy mentre in sottofondo suona, alternato a Johnny Cash, un disco di Neil Young.

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