EDUCAZIONE SIBERIANA di Gabriele Salvatores

REGIA: Gabriele Salvatores
SCENEGGIATURA: Stefano Rulli, Sandro Petraglia, Gabriele Salvatores
CAST: Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, Eleanor Tomlinson, John Malkovich
NAZIONALITÀ: Italia
ANNO: 2012
USCITA: 28 febbraio 2013

ONESTA’ CRIMINALE

“Un uomo non può possedere più di quanto il suo cuore possa amare”: citazione divenuta quasi un motto, tratta dal romanzo d’esordio dello scrittore Nicolai Lilin, Educazione Siberiana, caso letterario parzialmente autobiografico, in cui si narra di una comunità fino a quel momento pressocchè sconosciuta, gli Urka, e della loro terra, la Transnistria, stato indipendente de facto non riconosciuto a livello internazionale, in quanto dichiarò la proprio autonomia dalla Repubblica Socialista Sovietica Moldava unilateralmente, nel 1990. Una sorta di zona franca, luogo anarchico governato da leggi non scritte, quel codice d’onore criminale che è alla base dell’educazione su cui si incentra il racconto. Gabriele Salvatores abbraccia il progetto su proposta della casa produttrice Cattleya: l’adattamento dal libro ha avuto genesi travagliata, lo scritto di Lilin è assai vicino alla forma del diario dunque per sua natura poco agevolmente trasponibile in immagini. Il lavoro compiuto dal duo Stefano Rulli e Sandro Petraglia (già autori, fra le altre cose, dello script di Romanzo Criminale di Michele Placido), in collaborazione con lo stesso Salvatores, quasi sempre co-sceneggiatore delle proprie pellicole, si rivela ben riuscito nel sintetizzare e scremare in modo opportuno, seppur forse con qualche compressione di troppo rispetto alla materia di partenza. Educazione Siberiana può essere visto come un punto di svolta nella poetica del regista, una rinascita dello sguardo e delle modalità narrative: si resta per molti versi fedeli al romanzo di Lilin, nel dipingere la figura del “criminale onesto”, qui simboleggiata da un come sempre grande John Malkovich nei panni di Kuzja, nonno del protagonista Kolima (l’esordiente Arnas Fedaravicius) e capoclan in un microcosmo malavitoso regolato da codici assai precisi. Kuzya è colui che dispensa consigli, che si occupa dell’educazione del titolo, in questo racconto di formazione atipico e affascinante, molto spesso sinceramente poetico, a tratti un po’ ingenuo ma coinvolgente per lo spettatore, nell’accompagnarlo tra le pieghe di una cultura altra nella quale vige “il rispetto di tutte le creature viventi eccetto la polizia, i banchieri e gli usurai”, e pregna di un simbolismo cattolico che rispecchia il ruolo fondamentale del Sacro, tratto comune nella criminalità organizzata, dalla mafia italiana fino a quella messicana, la “Eme”, legata al culto della Santa Muerte, Madonna dei deboli così come dei narcotrafficanti.  Salvatores riesce a rappresentare in modo suggestivo la solennità del sacrale, in un piccolo mondo in cui il pugnale (la “picca”) ha un valore simbolicamente altissimo e nel quale i folli sono definiti i “voluti da Dio”, esseri da difendere anche a costo della propria vita. Xenya (ottima la prova attoriale di Eleanor Tomlinson) è una di queste creature, una mente infantile imprigionata in un corpo di giovane adulta, elemento di rottura nel rapporto fraterno tra Kolima e Gagarin (Vilius Tumalavicius). E’ proprio su questo legame d’amicizia che si incentra gran parte del narrato, ambientato nel decennio tra gli la metà degli anni ’80 e quella degli anni ’90, dunque in un arco cronologico segnato da eventi fortemente destabilizzanti, dal crollo dei muri e delle ideologie: il cambiamento che avviene nel mondo che circonda i due giovani è speculare a quello che vivono a livello interiore, e che condurrà Gagarin a seguire una strada diversa rispetto a Kolima.

I tatuaggi rivestono un ruolo fondamentale nel racconto, in quanto simboli incisi sulla pelle di un uomo al fine di narrare la sua storia, non semplici ornamenti ma riflesso del vissuto individuale; centrale è dunque la figura di Ink, interpretata da un grandioso Peter Stormare, mastro tatuatore dall’aura sciamanica che inizia il giovane Kolima a quest’arte particolare e preziosa.

La messa in scena alterna il passato dell’infanzia e un trascorso più recente, ambientato nel 1995, che vede Kolima combattere sul fronte ceceno, assumendo così una forma dinamica nel suo giostrare in differenti ambiti spazio/temporali. Ritroviamo alcune delle tematiche tipiche del regista, in primis il concetto di fuga: tutti i personaggi dei suoi film scappano da qualcosa e il luogo dell’approdo è ciò che maggiormente interessa a Salvatores, che sia la piccola isola greca di Mediterraneo piuttosto che la realtà futuristico/virtuale di Nirvana. Il cineasta tenta al tempo stesso strade nuove, sperimentando con la propria poetica e al di fuori di essa, riuscendo così a concepire un film elevato, dal respiro potente, graziato dalla magnifica fotografia del collaboratore di sempre Italo Petriccione e dalle musiche di Mauro Pagani, il quale dà vita a un melting pot sonoro ammaliante e coinvolgente. 

Un’opera che si colloca al di fuori degli schemi del panorama italico, acquisendo un afflato internazionale (al pari del recentissimo La Migliore Offerta di Tornatore) e tornando a quello che è il cuore pulsante del Cinema: narrare delle storie, trasportando lo spettatore in dimensioni altre, lontane dalla propria realtà. Salvatores centra il bersaglio, nel riuscire a trasmettere quell’Emozione che è l’anima stessa del racconto per immagini.

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