in sala (cannes 2014)

Inesauste tracce di umano: DUE GIORNI, UNA NOTTE di Jean-Pierre e Luc Dardenne

due giorni una notte

REGIA: Jean-Pierre e Luc Dardenne
SCENEGGIATURA: Jean-Pierre e Luc Dardenne
CAST: Marion Cotillard, Fabrizio Rongione
NAZIONALITÀ: Belgio, Francia, Italia
ANNO:  2014

Ogni film dei Dardenne, da quasi vent’anni anni a questa parte, è un regalo, diremmo quasi un privilegio: autori umanistici prima che politico-sociali, aggrappati con le spire ansanti e carezzevoli della mdp ai personaggi, al loro respiro ostinato di vita, al loro rabbioso scalciare, con durezza scarna e lirica, con un verismo di poesia fiera, con ferocia desautorata e graffiata di realismo agro, un filmare nervoso e insostenibile, inesausto, in apnea perenne, disperatissimo e sottotraccia, hic et nunc, asciuttissimo, senza un filo di retorica e formalismi sovrastrutturali, un prendere di petto urgentissimo e disinteressato, un cinema di cui davvero si sente il bisogno sempre, a cui consegnare occhi e cuore, se non ce li hanno già strappati dal petto i loro personaggi in primissimo piano sulle nostre emozioni, Rosetta, Bruno, Lorna, oggi Sandra. Sandra che ha il volto glam e da celeb di Marion Cotillard (è la seconda volta che i Dardenne scelgono un’attrice più nota dopo il lungo lavoro con gli attori non professionisti: precedentemente Cécile de France ha illuminato Il ragazzo con la bicicletta), che però è qui svuotata di qualsiasi divismo, donna normale e normalmente disperata, stanca, perennemente errante, anima in pena, in azione, in depressione.

Sgombriamo subito il campo, però, da aspettative strabordanti quali i fratelli belga sono in grado di creare – tumulti nelle ossa, sconquassi nelle viscere – Due giorni, una notte non è l’ennesima opera grandiosa dardenniana, più piccolo dell’intimo e lucente Il ragazzo con la bicicletta, più concentrato, segnato a sangue da un countdown ingrato, tagliato in pianisequenza dall’ansimo affannosso e frustrato della Cotillard, in una narrazione più secca che mai, quasi spigolosa, una trama e dei dialoghi ridotti all’osso, un incedere insomma quasi rigido, che procede secondo una traccia ben definit(iv)a e non esce dai binari, non ha una singola sbavatura ma non fa muovere il vissuto dei personaggi al di fuori di quella delimitazione di concetto, la guerra fra poveri, l’altruismo faticoso contro il capitalismo, nel reame della crisi che è il nostro Oggi.

Ciò nonostante, è prezioso, come ogni volta, l’operato di questi due registi così fuori dalle pratiche odierne, così meravigliosamente risoluti nel percorrere una strada tutta personale, indefessa, a scavare e trovare e guardare in faccia quelle ombre di umanità di cui spesso e volentieri ci scordiamo, li rende protagonisti, li nobilita, ce li adagia sulla pelle con un afflusso di verità fendente e implacabile.

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