BALLATA DELL’ODIO E DELL’AMORE di Álex de la Iglesia

REGIA: Alex de la Iglesia
SCENEGGIATURA: Alex de la Iglesia
CAST: Carlos Areces, Antonio de la Torre, Carolina Bang, Santiago Segura, Manuel Tallafè
NAZIONALITÀ : Spagna, Francia
ANNO: 2010
USCITA: 8 Novembre 2012

RIDI, PAGLIACCIO

Il gusto per l’eccesso e una forte vena anarcoide hanno caratterizzato il cinema di Álex de la Iglesia fin dagli esordi con il bizzarro Azione Mutante (1993), storia di un gruppo terroristico formato da mutanti in una società in cui la bellezza fisica è sinonimo di potere. A diciassette anni di distanza, il regista spagnolo torna non soltanto sul tema del “mostro” ma, di pari passo, porta all’ennesima potenza il grido di ribellione sovversiva presente in ogni sua pellicola.

Balada Triste de Trompeta esce finalmente nelle sale italiane col titolo di Ballata dell’Odio e dell’Amore, a ben due anni dalla sua realizzazione e dalla conquista del Leone d’Argento a Venezia per la Miglior Regia; il film fu in un primo tempo acquistato dalla Mikado, ora fallita, e fortunatamente recuperato dalla Lucky Red. A fine visione non si può fare a meno di pensare che, nel malaugurato caso in cui l’opera di de la Iglesia fosse caduta nell’oblio, la perdita sarebbe stata pesante.

Ci si trova di fronte a una pellicola imperfetta, volutamente sovraccarica, sofferente di qualche lungaggine e di alcune incoerenze nello script ma sinceramente appassionata, viscerale, grottesca in senso totalizzante, unica nella sua bellezza irregolare. L’inizio della Guerra Civile Spagnola e della lunga dittatura di Francisco Franco fanno da sfondo a una vicenda il cui prologo ha luogo nel 1937, e che si snoda nell’arco degli anni ’70, dunque dalla nascita alla caduta di un regime al quale si contrappongono, non solo allegoricamente, il mondo circense e la sua innata libertà. E’ un clown il padre di Javier (un eccelso Carlos Areces), uno dei protagonisti, che stermina i fascisti a colpi di machete nell’incipit del film, ed è pagliaccio triste, per sua natura e vocazione, lo stesso Javier, che dei franchisti si fa più volta beffa, anche in modo cruento, fino a mordere la mano di Franco, magnifico culmine metaforico di una sequenza allucinata che lo vede “cane da riporto umano” in una battuta di caccia degli squadristi.

Javier clown triste, più Pierrot che pagliaccio, entra a far parte di un circo nel quale incontra Sergio (Antonio de la Torre), il clown allegro, quello che fa divertire i bambini, in realtà uomo violento e alcolizzato, che ha come compagna la bella trapezista Natalia (Carolina Bang), legata a lui da un rapporto autodistruttivo di odio/amore. Si va ben oltre il tradizionale triangolo amoroso: gli elementi base del ménage à trois ci sono tutti, ma vengono estremizzati in puro stile de la Iglesia; la passione possessiva e malsana di Sergio e l’amore inizialmente puro di Javier, che lo renderà in seguito completamente folle, accenderanno l’odio tra i due uomini, i clown opposti e complementari, l’uno vittima delle angherie dell’altro. Sergio e Javier diventeranno mostri nel corpo e nell’anima, sfigurati in volto e lacerati interiormente, in una scellerata e visionaria discesa nell’abisso che è vera e propria metamorfosi.

Balada Triste de Trompeta  omaggia  tutto quel cinema del “diverso” diventandone bizzarro compendio, da Freaks a Elephant Man, senza dimenticare icone più recenti come Joker e Pinguino di Batman, ai quali i due protagonisti, nelle sequenze finali, rimandano in maniera immediata. De la Iglesia non si limita a citare: qui il circo è metafora della vita stessa, con le sue mille contraddizioni, la sua precarietà, in lotta con un regime contro il cui muro ostinatamente si scontra senza arrendersi, così come il Motociclista Fantasma del circo sbatte contro la parete nei suoi maldestri lanci con la moto.

Il pezzo musicale che dà il titolo al film (ispirato da Ballata Triste di Una Tromba, del dimenticato Nini Rosso), eseguito dal cantante Raphael, è straziante leit-motif della follia di Javier, accompagnando alcune tra le sequenze più belle dell’intera pellicola.

Un’opera caleidoscopica, imponente e magnifica nella sua non-perfezione, allegoria di un’umanità a due facce, come quelle dei clown circensi, indimenticabili maschere tragiche che non sempre riescono ad essere strappate via dai volti che le indossano. 

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