CONTRABAND di Baltasar Kormákur

REGIA: Baltasar Kormákur
SCENEGGIATURA: Aaron Guzikowski
CAST: Mark Wahlberg, Kate Beckinsale, Ben Foster, Giovanni Ribisi
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2012
USCITA: 25 luglio 2012

NOT ANOTHER INSTANT REMAKE

Baltimora, le navi, il porto. La merce che arriva e come d’incanto sparisce. Ladri, manovalanza alla giornata e corruzione: la seconda, luccicante stagione di The Wire pare riverberare in Contraband; diversa l’ambientazione geografica, immutato lo spirito esteriore. Instant remake USA del prototipo Reykjavík-Rotterdam, Contraband trasuda dedizione visiva nei confronti del cinema di Michael Mann (del regista di Nemico pubblico c’è molto di più qui che in Texas Killing Fields diretto da Ami Canaan Mann, tanto per non fare dei nomi…), come a voler sfruttare la genuflessa riverenza dell’allievo, si consapevole dell’impossibilità di avvicinarsi al maestro, ma non per questo scoraggiato dalla prospettiva di poterlo omaggiare appena. Anzi, tutt’altro. Contraband mostra il lato di Baltasar Kormákur che non ti saresti mai aspettato, lontanissimo parente del cineasta scoperto con 101 Reykjavík: dramma esistenziale buono per un extended video dei Sigur Rós o per i paragoni con il primo Kim Ki-duk, ora rimpiazzato da un action intelligente ritmato da un energico blues vecchia scuola. Magari non brillante per inventiva e originalità, ma strutturalmente solido come una quercia.

La macchina da presa “panoramica”, che dal cielo scende vertiginosamente in picchiata, sulle strade artificialmente illuminate della città, squarcia la notte con accademica precisione: offrendo un antipasto tecnico della ferma geometria che verrà. Cuore di B-movie con indosso un completo mainstream per l’occasione su misura cucito, Contraband mostra i muscoli durante una parte centrale tutta movimento e tensione, capace di esaltare l’alchimia di un pacchetto cast amalgamato nel migliore dei modi, dove, al netto dell’equipe di gregari, svetta il dualismo antagonista tra le prime donne Wahlberg e Ribisi: l’uno contraltare emotivo e caratteriale dell’altro, perfettamente bilanciati nelle dinamiche della faida in via di sviluppo. Il primo ormai capace di maneggiare e sfruttare al meglio una fisicità schermica seconda solo a Tom Hardy, il secondo perfettamente calato nei panni del villain del ghetto: crudele, squilibrato e dal grilletto facile.

Contraband si lascia guardare senza sbadiglio alcuno, forte com’è di una formula matematica di base (e)seguita come si farebbe in presenza di un libretto di istruzioni: step by step, senza mai il rischio di (voler) sbagliare, esagerare o disegnare un passo più lungo della gamba. Piacevole. Almeno fino alla chiosa finale che, per quanto elaborata sia nelle pianificate coincidenze narrative, lascia un po’ d’amaro in bocca per il potenziale dramma conclusivo, solo sfiorato e quindi abbandonato in favore di ben altre conclusioni emozionali; probabilmente perché troppo premurosa nei confronti delle reazioni al botteghino. Piacevole si, ma incompiuto.

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