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NYMPH()MANIAC VOL. 1 di Lars von Trier: SESSO E FILOSOFIA («Spesso il mal di vivere ho incontrato»)

nymphomaniac (2)

REGIA: Lars von Trier
SCENEGGIATURA: Lars von Trier
CAST: Charlotte Gainsbourg,  Stellan Skarsgård, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Christian Slater, Uma Thurman
ANNO: 2013

Si comincia da una seduta di (psico?)analisi che è anche confessionale blasfemo; contrapposti, ai due lati del ring, l’uomo e la donna, la narratrice e lo spettatore, il film (allo stato brado) e la critica (la nostra percezione riorganizzante). Dove Melancholia era una liquefazione nichilista, e Antichrist un abissale precipizio che fondeva nell’acido la lotta dei sessi divenuta di orrore e furore primigeni, storici, archetipici (qui ritornano: l’uomo nuovamente razionalità e la donna nuovamente istinto), ecco che questa volta Lars von Trier immerge la narrazione in una struttura quasi scientifica: da una parte un corpo di fuliggine e sudore, di impulso e rassegnazione, dall’altra una mente lucida e pragmatica, di rigore e appianamento. Da una parte la cantastorie insanguinata Jo e dall’altra il suo salvatore (?) Seligman, spettatore ammaliato almeno quanto determinato a ritrovare una logica, un fil rouge, un regolare e socialmente brevettato aggancio alla ratio nelle sue azioni ragionevolmente oscene; l’ausilio della mente, di ciò che ci rende persone, di fronte alla dilagazione del corpo, del suo brutale e indecente sottomettere tutto ciò che consideriamo nella norma, tutte le regole strutturali della società (del pensiero), quelle regole che costituiscono l’ossatura del mondo dell’essere umano, del conquistatore. Perché c’è in noi una scintilla rabbiosa che le sovverte: Lars lo sa e la osserva con un’ironia sorniona e strafottente, come un giullare demoniaco.

La natura, unico lampo di purezza (spinoziana) capace di rasserenare Jo, dolente, depressa, sola, che gira su se stessa proprio come il criceto nella gabbia, che tanto odiava (guarda caso). La natura come l’albero tanto amato dal padre, una speranza divorata dall’inverno, la maturità, quando ciò che era adorato viene dileggiato per quel seme nero, oscuro. La donna, inquieta ma pacificata mentre racconta di esso, della deflagrazione di tutto ciò che è normalmente accettabile, di ciò che è morale (“questa storia ha una morale”, dice: e forse è proprio questa: non averla), racconta il delirium. L’uomo cerca di bonificarlo, lo inscatola nella comprensione dettata da leggi cerebrali: la caccia alle prede maschili come, appunto, la mossa del predatore in un acquario con una fauna mista di specie; la donna come il meccanismo dell’esca per pesci, persino il primo rapporto sessuale sotto il filtro dei numeri di Fibonacci: una sequenza prestabilita, definita. Ricondurre l’azione animale alla logica, ancora una volta.

La natura, così abbracciata dal padre di Jo, affascinante e inspiegabile nella sua narrazione quanto nella sua esistenza, però, ci riporta al nostro status primario. Animali, di carne e sangue, pulsioni e implosioni. Nel caso di Jo, ciò si scontra con un male tutto umano. La depressione, il vuoto che solo la donna, in von Trier, riesce a guardare in faccia. La dipendenza di Jo è inaccettabile, è visivamente intollerabile ed è una malattia punitiva perché non è un desiderio, non è il titillamento dei sensi, non è bisogno spinto all’eccesso, non è godimento ebbro e ingordo, non è lussuria. Il desiderio non esiste, il bisogno vive del vuoto del piacere, dello scarno esserci delle pulsioni. È il dolore, è un male di vivere; lo è diventato, nella ricerca della sua fuga. Jo cerca di reprimerlo nel sesso, cerca di essere viva, cerca il sesso per provare ad esserlo. Un’alternativa al Solitario, più borghese, di sua madre.

Quella tensione sessuale la percorre fin da bambina: e solo quando è bambina, ancora in una immacolata purezza puerile, è un istinto vissuto con semplice immediatezza. Da adolescente e poi adulta, tutto si imbratta, di altro: da ragazzina perde la verginità senza nessun piacere, quasi incidentalmente se non fosse che l’ha chiesto; da adolescente lo fa per un pacchetto di caramelle, il piacere è già in altro, il sesso è un pretesto, un veicolo. Da adulta, diventa automatismo. Reiterazione. Nell’orgasmo, Jo annulla qualcosa di vuoto che non sa vedere, toccare, pensare. Qualcosa che fa paura perché è invisibile, intoccabile, e molto più potente e buio di noi. Una voragine da cui non possiamo fuggire.

Von Trier utilizza uno strumento, anche furbo, come il concetto pruriginoso del “film sulla ninfomane” per addentrarsi, ancora una volta, nella disperazione. Nel corpo della donna, come unico tra i gender dell’essere umano a poter attraversare una via crucis indicibile. E Nymph()maniac è disturbante e spiazzante, scioccante (anche quando vorremmo che le categorie umane riassunte nello split screen ci divertissero) e fastidioso (anche quando vorremmo che i rendez-vous di Jo ci stuzzicassero), pure e in particolare per questo: per come, tra siparietti teatrali (la moglie Uma), dissertazioni filosofico-entomologiche, inauditi sberleffi (la parata fallica), frammenti sentimentali quasi commoventi (il puzzle della memoria dell’amato), introduce il buio. Quello squarcio spettrale dentro di noi: che si tratti della depressione pre-fine del mondo, del fantasma del desiderio, della vendetta quasi biblica, nello scorrere dell’immagine c’è l’emergere del marcio, del nostro male incontrollabile, che viene stanato, su cui ci bruciamo, che non possiamo annullare con le nostre parole così ferme, che non possiamo negare con la diagnosi razionale, che non vogliamo vedere, che non possiamo fuggire. E la cui temporanea pacificazione si trova solo nel racconto, nella narrazione: come il padre di Jo torna a rievocare la vecchia storia, su richiesta di lei che per renderlo felice finge di dimenticarla, così Lars spinge il dolore oltre l’immagine, rendendolo acceso, vivo, libero.

Se alla fine di Vol. 1 si avverte un senso di mancanza, come di potenza trattenuta, di rabbia ancora sottopelle, scommettiamo sulla sua esplosione nel Volume 2: sarà uno strappar di carne, emoglobina, vene, umori e amori, istinto e morale. E se così sarà, non vediamo l’ora.

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