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Venezia 2016: THE BAD BATCH di Ana Lily Amirpour – In concorso

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REGIA: Ana Lily Amirpour
SCENEGGIATURA: Ana Lily Amirpour
CAST: Jason Momoa, Keanu Reeves, Giovanni Ribisi, Suki Waterhouse, Jim Carrey, Diego Luna
ANNO: 2016
PRODUZIONE: USA

Né carne né pesce, forse un tentativo goffo e un ostacolo per nulla saltato, questo secondo parto della promettente regista iraniana, che noi avevamo amato (miscalculation?) a Roma nel 2014, quando c’eravamo fatti sogni su chi potesse essere Ana, trentasettenne naturalizzata britannica, tra fascinazioni in black and white e vampirismo in slow-motion nell’esordio A girl walks home alone at night, agile commistione di generi e milieu iraniano dai felici risultati, patina estetizzante a parte (odi et amo). Thing is: questo secondo lungometraggio non va. Ruota, passa la solita soundtrack figa, esordisce col botto cannibale dei close up sulla carne macellata, così pensando che l’effetto-shock possa perdurare per la sua intera durata, mentre quanto accade viene espresso per sottrazione, tra mutismi, sguardi di odio che si trasformano in amore, ipotetiche chiuse riconcilianti intorno al fuoco, quasi a voler fare dell’ottimismo, sotto la cenere di un deserto crudele a cui non crede nessuno. Invece The Bad Batch si riempie di pezzi di messinscena per supplire una totale mancanza di coordinazione dei contenuti, come se calcare sui segni disorientanti, incongrui, kitsch e/o videoclippari fosse sufficiente in sé per fare cinema. Ci eravamo (un po’) illusi.

Bonus track: Keanu Reeves-santone nel ruolo più brutto (giuriamo, non c’è di peggio) della sua carriera. (LDV) ♥♥/5


Diffidate dei bimbi e delle bimbe prodigio. Chi nemmeno due anni fa risultava essere la giocatrice dark-pop più interessante di un certo panorama, e gran gustosa sorpresa al Festival di Roma, adesso ci salassa con la sua supponenza sovraccarica. La preferivamo in bianco e nero, coi vampiri (e probabilmente molto meno budget) e con un certo minimalismo fast fashion piuttosto che con questo supponente e snob intreccio di cliché e tinte pastello stile banco delle spezie. Scopriamo che probabilmente i pregi di A Girl Walks Home Alone At Night erano del tutto accidentali, dei freni/fenomeni meramente pratici, perché The Bad Batch ne è la sua versione schizzata e moltiplicata per dieci, venti, cinquanta volte.
Quasi due ore di calcolatissimi momenti in cui nulla è lasciato al caso: uno strato di scenario post-apocalittico dell’Ikea, guardaroba variegati ma sempre e comunque a tema con la festicciola dei simbolismi, una manciata di connessioni tra i personaggi, una buona calibrazione di soundtrack, colori a palla e dosi belle pesanti di significati e icone ben distillati ed incapsulati. La sensazione è quella di quando, da qualche parte, una donna o un uomo ci salta subito all’occhio con forte impatto visivo, quasi un sussulto che sembra racconti tutto in un decimo di secondo, salvo poi, un altro decimo di secondo dopo ci si accorge che quella persona è vestita così in modo calibratissimo, da rivista, lungo una scia di tendenza già ben cristallizzata, datata, scaduta, priva di identità, insignificante, con uno nodo alla gola ben più stretto di quello della moda: la convinzione. Ché, se potesse, avrebbe anche la barba curatissima e fin sotto al mento. (AT) ♥♥/5

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