QUEL CHE (NON) RIMANE DI VENEZIA 2012

Nè punk (o pang, nel senso edmondiano del nome) nè fiaba (nè canzone di Di Martino), forse esattamente quel buco nero lasciato dai lavori in corso, quest’anno parzialmente coperte ma sempre ferita aperta, quella di un cambio gestione che ha fatto sentire la sua voce in maniera indelebile: non siamo troppo estremisti quando diciamo che questa è qualitativamente la peggior mostra degl’ultimi (almeno) 8 anni, un festival che per quanto abbia regalato 2 o 3 (o 4 o anche 5 emozioni), di certo mantiene il suo livello generale su una mediocrità che apre più domande che risposte. Chi ha parlato di un ottimo concorso è in malafede o ha perso ogni possibile contatto col cinema (o con l’amore per il cinema, che è diverso e addirittura più essenziale). Cosa rimane di questa Venezia69 d’annata 2012 non è facile dirlo, avendo trovato giorni così vuoti da costringerci a tirare fuori il costume dalla valigia per farci un bagno al mare: ecco, se un positivista sceglie di andare al mare piuttosto che in sala a vedere un film, molto probabilmente il programma ha qualcosa che non va. Che qualcosa è andato storto in quest’edizione di ritorno barberiano. E forse, per la prima volta in 9 anni, iniziamo a volgere i nostri sguardi verso Roma..

CUORI (POCO) SELVAGGI

♥♥♥♥♥ – Al vincitore del Leone D’Oro, Pieta di Kim Ki-duk, opera di brutale lirismo che mescola narcotica violenza a lisergica malinconia: una regia che stupra e intenerisce, un film di casi umani che strappa il cuore, dove ogni singolo quadro è da gestire gelosamente con cura nella propria memoria cinefilica, imprescindibile tassello per amare (senza tornare mai più) un autore che di Leoni doveva già vincerne almeno 10.

♥♥♥ – Alla giuria capitanata da Michael Mann. Una volta tanto ha vinto davvero il film migliore del concorso (evento più unico che raro, forse risuccederà solamente fra altri 5 anni), ma dare la miglior attrice alla ragazzina insignificante di Fill the void è una stronzata senza spiegazioni, soprattutto considerata la candidatura di Nora Aunor, una delle migliori attrici del mondo e magnifica sublimazione visiva nel film di Brillante Mendoza, Thy womb.

– Alla cerimonia di premiazione, peggio dei già pessimi David di Donatello: premi scambiati per i cazzi loro, momenti morti durante le pose fotografiche, statuette che cadono, file vuote di poltrone, gente dispersa, gente persa, cani e porci. Che schifo.

♥♥ – Alla sezione Orizzonti, nata con l’idea di scoprire le nuove barriere del cinema, oggi contenitore aperto di qualsiasi roba che semplicemente non si sapeva dove ficcare. Quindi, ecco film come Gli Equilibristi di Ivano De Matteo, che sembra una fiction melodrammatica di Canale 5 solo con un’enfasi più esagerata.

♥♥♥ – Alle quasi 5 ore di Kiyoshi Kurosawa con Shokuzai (Penance), presentato Fuori Concorso. Sembrerebbe un suicidio anche solo entrare in sala, ma l’opera (che è una serie a puntate mandata in onda in giappone) fluisce in maniera impercettibile, quasi come fredda ipnosi che avvolge nella sua dimensione con fulgido piacere.

– A chi fa documentari sulla propria famiglia.

♥♥♥♥ – Almeno due i meriti di Harmony Korine: aver resuscitato Britney Spears regalandoci una scena che trasforma la macabra estraneazione in malinconia pop, e aver reso James Franco un gangsta rappa che fa i pompini alle pistole.

♥♥♥♥♥ - A Bernardo Bertolucci, lucido arzillissimo nel documentario Sedia Elettrica, che mostra il making of della sua ultima opera, Io e te. Si respira cinema in uno squallido bunker cantina, ci si prende per il culo, si balla sulle note di David Bowie e la sua versione italiana di Space Oddity, Ragazzo solo, ragazza sola, probabile futuro inno di Positif dopo Ottobre.

♥♥♥♥ – Alle maschere evocative del finale di La cinquiéme saison.

♥♥ – Alla sezione dei classici e dei restauri. Alcuni imprescindibili e magnifici recuperi (The ghost and Mrs Muir di Mankiewicz), ma chi è lo stronzo che davvero torna a rivedersi Viale del tramonto o Gli uomini preferiscono le bionde (film che trovi un po’ ovunque, dai dvd alla televisione) in una sala che ha lo schermo proporzionato ad un pc? (Pasinetti).

♥♥♥♥ – A Joaquin Phoenix autentico rockstar della Mostra. Magnifica performance in The Master di P.T Anderson, si presenta in conferenza stampa ubriaco e inizia addirittura a fumare. Lui è uno di noi. Positivista nell’anima.

– Al momento scultissimo dei ralenti in Disconnected (Henry Alex-Rubin). Il film è bello, ma ad un certo punto Zack Snyder s’impossessa della regia e ci piazza un ralenti totalmente fuori luogo che sembrano usciti da Watchmen o 300: risate involontarie in sala come se piovesse.

– Alla mancanza del Cinema indiano nella selezione, considerando anche che quest’anno è il suo centenario. E’ forse in queste piccole cose che si avverte la mancanza di Müller, che negl’anni scorsi ci ha fatti conoscere grandi autori come Anurag Kashyap o Mani Ratnam.

– A Zac Efron, che si contende il premio come peggior attore del Festival assieme a Ben Affleck. Insieme potrebbero fare a gara di chi è più monoespressivo, inutile, squallido, cane. Meno male che c’è Dennis Quaid (♥♥♥♥), che il sottoscritto tifava per la Coppa Volpi: occhi che scavano, flashato e tragico insieme.

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