venezia 76 - leone d'oro

JOKER di Todd Phillips – No fun to hang around feelin’ that same old way

Regia: Todd Phillips
Sceneggiatura: Todd Phillips, Scott Silver
Cast: Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz
Anno: 2019
Produzione: USA

joker

Joker va a occupare un posto fino ad oggi desolatamente vuoto, ma che i più non sapevano nemmeno esistesse: un film slegato da qualsiasi filone, totalmente avulso dagli sciattissimi cliché attuali, secondo ranghi visivi attualmente atipici, da parte della “sfigata” tra le due maggiori etichette, firmato da un regista sì di successo ma sempre dileggiato perché “di commedie”. Un film la cui prima qualità è quella di essere Un Film, di esistere per come esiste, di respirare per conto proprio.

Figlio totale della reiezione, è un film di eccessi, sovraccarico sotto ogni punto di vista, che giunge proprio alla fine del peggiore decennio di analfabetizzazione cinematografica, dopo anni di appiattimento del cinema mainstream, dell’adagiamento sui filoni, dell’annientamento delle possibilità. In un momento in cui il pubblico va al cinema a vedere “le puttanate” e sta a casa a vedere “le cose serie”, Joker dimostra che, semplicemente, il Cinema è ancora possibile e che addirittura è anche “semplice” da fare.
In un momento in cui la (mal)educazione cinecomica porta osanna un miliardario esaltato, un supersoldato e il dio del tuono, Joker sembra fatto di tutto ciò che è stato escluso a tavolino in questi anni, tutto il lerciume puzzolente che è stato bloccato dal filtro della lavatrice mentre la Disney rendeva linda e profumata qualsiasi cosa. Uno sfigato sottopeso, un quintale di sigarette, la mancanza assoluta di rivalsa, la negazione d’esistenza, per quanto essa sia inesorabilmente desiderata. E idealmente è come se tornassimo al 1992 e, dopo Batman Returns, qualcuno con un po’ di potere dicesse “ok, continuiamo così”, con il cinema dei disadattati, buoni o cattivi che siano.

Cruento, triste, malinconico, violento, esuberante, privo di qualsiasi forma di speranza, coeso. Capace di rimanere sospeso senza cliffhanger, di dire ma non di imporre, dando atto a interpretazioni; di essere semplicemente fruito ma anche ammirato. Un film pesante, lineare, cupo, colorato, “pensato”. Un film fatto di Cinema, cinema amato, odorato, rubato. Un film d’autore nel senso meno snob della parola, di poche e prosciugate idee ben articolate, di bocca.

Perché se nel giocare con icone, talvolta quasi secolari come quella del Joker, è sempre fan fiction, i ragazzini si dividono in due categorie: quelli che vedono una cosa e, giocando, cercano di replicarle pari pari con le relative perdite ed edulcorazioni, e quelli che invece mescolano, pasticciano, confondono, appallottolano, ricreano. Perché se va bene che Tarantino rifaccia centomila revenge movie tutti insieme, va bene anche che Phillips rifaccia Scorsese. Se Tarantino si inventa la Hollywood di quando aveva sei anni, va bene che Phillips si inventi la New York di quando ne aveva dodici.

E Todd Phillips non sbuca fuori dal nulla e, soprattutto, i suoi film precedenti non sono inesistenti, né tecnicamente né concettualmente. L’impianto visivo di  Joker non è figlio delle maestranze, Phillips ha sempre girato così, in modo solido, innamorato del colore, dell’inquadratura icastica, di una sorta di pesantezza. La sua atmosfera non è saltata fuori dal cilindro, ma il risultato, con boost, di un processo di incupimento graduale del suo cinema che già con Trafficanti dimostrava la propria voglia di urlare. E i suoi personaggi sono sempre stati sfigati, anche quello di Bradley Cooper (qui presente in produzione, tra l’altro), non così diversi da Arthur Fleck. E anche dove il film può apparire schematico, geometrico, calibrato, furbo: sono nostre reazioni inquinate dal presente, abituati a linee dritte dove a cambiare è solo la schiuma che le contorna e ammorbidisce, quando invece Joker è un film quadrato che non nasconde di esserlo, ma dagli spigoli taglienti, in modo tanto palese che è quasi impossibile tagliarcisi per sbaglio, bisogna volerlo.

Ma anche a volerlo considerare un mero esercizio di stile, sarebbe un esercizio di stile in un panorama dove non ce ne sono (più – l’ultimo, probabilmente, è l’Hulk  di Ang Lee).
Anche a volerlo considerare solo come la reinvenzione di un’icona: in un momento in cui queste si sono assottigliate, è come una sassata tra decine di ventagli.

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