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OUTRAGE & OUTRAGE BEYOND – I cani arrabbiati di Takeshi Kitano

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OUTRAGE
Regia: Takeshi Kitano
Sceneggiatura: Takeshi Kitano
Cast: Takeshi Kitano, Kippei Shiina, Ryo Kase, Fumiyo Kohinata
Nazionalità: Giappone
Anno: 2010

OUTRAGE BEYOND
Regia: Takeshi Kitano
Sceneggiatura: Takeshi Kitano
Cast: Takeshi Kitano, Tomokazu Miura, Ryo Kase, Fumiyo Kohinata
Nazionalità: Giappone
Anno: 2012

DOG BITE DOG (CANI ARRABBIATI)

Rabbia che all’improvviso esplode, incontrollata, violenta. Mai titolo poteva essere più appropriato e profetico per l’ultimo Kitano: i suoi interpreti assomigliano a cani tenuti in cattività, che montano idrofobia repressa da un meccanismo al sottovuoto, immobile, che non prevede ricambio generazionale. La Yakuza d’oggi corrisponde all’allegoria microsistemica di una società in crisi, pachidermica, obsoleta, che tarpa le ali dell’ambizione giovanile. L’ardore a lungo soffocato esplode, sfruttando la prima occasione utile, diventando il motore di un intreccio costruito su tradimenti, cambi di schieramento, doppi e tripli giochi.

Una volta innescato, il meccanismo di morte non contempla né tregue né prigionieri: i cani arrabbiati di Kitano si giustiziano con vicendevole brutalità, mordendosi l’uno l’altro, sbranandosi subito dopo essersi abbaiati in faccia. Via il guinzaglio, giù la museruola, fuori le fauci digrignate. La violenza invade selvaggia lo schermo, sbizzarrendosi per crudeltà ed efferatezze attraverso l’uso improprio di taglierini, trapani odontotecnici e bacchette da riso; sfogo, reazione, movimento inevitabile e consequenziale (d)allo stallo che l’ha preceduto, salutare boccata d’ossigeno dopo tanta apnea coatta; preludio, insomma, al rinnovamento nei piani alti.

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THE SOUND OF SILENCE (BATTLES WITHOUT HONOUR AND HUMANITY)

Senza Hisaishi non può esserci Kitano, obietteranno i fan più hardcore del regista; commettendo lo stesso errore che l’oltranzismo black rimproverò allo Spike Lee troppo bianco de La 25esima ora, invero tra i suoi capolavori. Anche grazie a un tappeto sonoro prossimo all’assenza e al silenzio – quasi fosse un Carpenter in sottrazione e asciugato a secco – Kitano ricerca la novità e il rinnovamento nel classicismo. Mainstream nella forma, ogni inquadratura di Outrage individua e sfrutta negli spazi del 2.35:1 la migliore delle ampiezze possibili, mentre l’immaginario tradizionale e a tratti calligrafico rimette in scena una tragedia di morti violente prevedibile proprio perché classica: stilisticamente antitetica al caleidoscopico barocchismo di un Miike pescato a caso (Deadly Outlaw: Rekka, ad esempio), bensì assimilabile all’autorialità d’importazione sviscerata da Johnnie To nel dittico Election. Eppure c’è dell’altro, che s’intravede scavando: un mondo stanco, dove chi occupa la poltrona più alta in grado non vuole saperne di farsi da parte; nonostante chi comanda strappi un sorriso spesso amaro, conseguenza della manovrabilità del suo essere pedina corrotta o corruttibile: capo dell’anticrimine e ambasciatore ghanese compresi.

Il Kitano regista si adegua, distaccandosi con freddezza dai suoi personaggi, mentre il Kitano attore torna ad indossare gli attualizzati panni del Ronin moderno: scheggia impazzita che non conosce il compromesso, nonostante l’alternativa combaci con una condanna a morte certa. Uno yakuza old school contrapposto alla mancanza di valori imperante nella Yakuza contemporanea: il paradosso all’interno del quale rintracciare la tipica malinconia dell’autore, che violento si accende in un mondo che ha dimenticato l’onore, il rispetto, la lealtà; insensibile persino alla mutilazione del mignolo in quanto gesto. Outrage racconta questo sentimento e, dopo aver sbandato poiché vittima di qualche iniziale passaggio a vuoto, evita la deriva del cavillo per rimettersi orgogliosamente in carreggiata fino a decollare, quasi non avesse peso, a partire dalla sua seconda metà. 

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TO BE CONTINUED (FROM BEYOND)

Senza integrità non può esserci rivoluzione che sia salutare, positiva. L’incipit di Outrage Beyond espone l’evidenza dei fatti approssimando allo zero le mezze misure: la Yakuza è cambiata, ma in peggio, tanto da assomigliare ad una società di revisione contabile fintamente meritocratica, dove giovani yuppie in doppiopetto mettono all’angolo le vecchie leve, rimproverandogli di appartenere ad un mondo preistorico, ignoranti come sono riguardo le nuove logiche di fare e muovere denaro. Il nuovo assetto è più pericoloso del precedente, si affaccia sfacciato e presuntuoso nei salotti buoni della politica, giustizia poliziotti come fossero bassa manovalanza rivale da eliminare; urge un colpo di spugna, una controrivoluzione, un ritorno ai bei vecchi tempi andati.

La sporcizia di un mondo marcio resta incrostata alla superficie di Outrage Beyond e prende forma nelle sembianze di Fumiyo Kohinata: detective corrotto, lurido come un cassonetto, usato dalla Yakuza e al tempo stesso sfruttatore delle debolezze di quest’ultima; è lui ad ordire il machiavellico piano per ristabilire lo status quo perduto: “risuscitare” Otomo al fine di scagliarlo contro chi l’ha tradito e ridotto in fin di vita.

Kitano utilizza il manuale del perfetto sequel approfondendo caratteri appena introdotti dal primo capitolo, su di essi carica la rinascita del suo personaggio: fantasma tornato dal passato, quasi fosse leggenda immortale (ri)tornata in carne, ossa e ferite per regolare i conti. Dall’avvio meno intricato se paragonato al suo predecessore, Beyond riallaccia definitivamente i rapporti con Fukasaku procedendo spedito verso la meta, straziando la grazia del suo rigore stilistico e quasi melvilliano con l’improvvisa ferocia di trapani che penetrano crani e palle da baseball che spezzano ossa della collo. Quel che resta è naturale e progressivo redde rationem, che Kitano resoconta con la leggerezza dell’acqua che scorre: fuoricampo asciugato fino ai limiti del consentito.

Il fine ultimo è un altro, far si che il Ronin si prenda la sua vendetta eliminando dalla scena impostori, doppiogiochisti e lingue biforcute. Distruggere per creare da zero. Forse. A Kitano occorre poco, un colpo di pistola: lo stesso che lascia presagire il sospetto di una possibile trilogia in fieri dopo quella composta da Takeshis’, Glory to the filmmaker e Achille e la tartaruga.

Troppo commerciale? Questo Kitano ha un cuore. Magari nascosto, ma ce l’ha.

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