verboten!

SOUND CITY di Dave Grohl

REGIA: Dave Grohl
SCENEGGIATURA: Mark Monroe
CAST: Dave Grohl, Butch Vig, Neil Young, Rick Rubin, Tom Petty
NAZIONALITÀ: USA 
ANNO: 2013

I AM ANALOG (DIGITAL SUCK) 

A pagina 171 di Come as you are – The story of Nirvana, c’è un’istantanea che riassume buona parte del senso di Sound City: una delle chitarre di Kurt Cobain giace, distrutta, sul banco di una console Neve; quel che ne resta testimonia lo spirito selvaggio che sostenne l’incisione di Endless, nameless. Michael Azerrard, imprescindibile studioso e storico dell’alternative rock stantunitense, aveva (già) fotografato ciò che anni dopo Sound City avrebbe raccontato: un modo di pensare e fare musica scomparso per sempre.

Esiste una sola persona in grado di concepire una storia del genere: Dave Grohl, tra gli ultimi eroi del rock’n'roll rimasti sul pianeta, erede di John Bonham e Keith Moon dietro le pelli, fuoriclasse ritmico nei Nirvana, polistrumentista e songwriter d’eccezione con i Foo Fighters. Grohl, negli anni, è stato in grado di scrollarsi di dosso il clichè del musicista risucchiato nella spirale di Seattle; con il sorriso e l’autoironia ha recuperato l’indole primitiva, gioiosa e squisitamente creativa, musicale, di quella scena, ciò che inverò la caratterizzò prima che grunge iniziasse a far rima con eroina, depressione, male di vivere e morti premature. Sound City è la storia di una favola, il parabolico racconto delle alterne fortune dell’omonimo studio di registrazione losangelino; divenuto leggenda un po’ per caso, un po’ per (geniale) intuizione.

Una stanza troppo grande e disposta scorrettamente, eppure capace di catturare in modo unico il suono della batteria, una console che, disco dopo disco, si trasforma, da avanguardia, in prodigioso mezzo vintage. Dai Fleetwood Mac alle band hair metal, passando per Neil Young, Johnny Cash e le voci narranti di guru della produzione quali Rick Rubin e Ross Robinson, rinascendo grazie al boom di Nevermind. Un fiume di aneddoti, poi l’inizio della fine, la chiusura che da spettro si fa realtà, non prima di aver lanciato Rage Against The Machine, Kyuss e Queen Of The Stone Age: ascesa e caduta di Sound City, studio di registrazione per musicisti veri, che incidono live e non vogliono saperne di scorciatoie digitali.

Con un pizzico di naturale malinconia mista ad una dose di manifesta gratitudine, Grohl arriva persino al profano, comunicandogli cosa voglia dire, per un artista, incidere il proprio disco. Quanta gioia e pari fatica possa comportare un tale processo pratico e creativo, cosa voglia dire veder scomparire il luogo fisico che ha contribuito a darti fama e gloria planetaria. Ideologicamente Sound City prosegue il discorso iniziato da Grohl con Wasting Light, ultimo album dei Foo Fighters raccontato anche nel documentario Back and Forth: fare musica come si usava a Seattle prima che diventasse moda, incidendo su nastro come se fosse una festa, collaborando con più musicisti possibili.

Quasi fosse concepito da Cameron Crowe, Sound City trasforma la tristezza in gioia, la delusione in tangibile voglia di riscatto, musicando con Real to Reel l’omaggio ad un luogo magico, unendo ai suoi volti noti special guest illustri; tutti raccolti attorno a quella console Neve che, smontata e poi riassemblata, torna a ruggire per un disco tributo. Gran finale dedicato all’arrangiamento di Cut me some slack: McCartney guida la composizione, Novoselic torna a muoversi come ad inizio anni ’90,
Dave Grohl picchia come un ossesso sui tamburi mentre Pat Smear incendia a suon di note la sua chitarra; Butch Vig coordina dietro il mixer. Assomiglia a Helter Skelter, per un attimo sembra di rivedere all’opera i Nirvana.

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