Verboten!

Terapia orgiastica: LES RENCONTRES D’APRES MINUIT di Yann Gonzalez

les rencontres d'apres minuit

REGIA: Yann Gonzalez
SCENEGGIATURA: Yann Gonzalez
CAST: Kate Moran, Niels Schneider, Nicolas Maury, Eric Cantona
ANNO: 2013

Esistono opere abortite ed esperimenti fascinosi, e abbastanza spesso si tratta di film che viaggiano, se non sullo stesso vagone, per lo meno su binari paralleli. Nel seducente e malatissimo film di Yann Gonzalez queste due qualità arrivano addirittura a coincidere all’interno della medesima opera: cavalcate surreali con protagonisti personaggi avvinghiati gli uni agli altri, tutti i contrassegni del film musicale, il trasformismo e l’ambiguità di gender a fare da pilastri portanti a una narrazione di stampo dadaista. Partendo da queste corrosive premesse, ecco che si dispiega dinanzi agli occhi dello spettatore incredulo il fascino glam rock di una sinfonia tutta fatta di mascheramenti, di belle statuine raffinate che si baciano, si fregano e si immobilizzano a vicenda. Sospesi e intrappolati, come può accadere anche a certi umani più tradizionali, nella propria sete di malinconia e di meraviglia.

Un film che non può che essere, a livello ombelicale e settario, una goduria solo e soltanto cinefila, scissa da qualsiasi implicazione tangibile, da qualsiasi appiglio a un’idea realistica di racconto. Si tratta palesemente di un cinema metafisico e sopraelevato, che rivendica una natura nobiliare fina dalla natura e dalla composizione dell’immagine. Anche se non ci sarà poi molto oltre l’appagamento cinéphile, tutto ciò non è comunque poco. I personaggi che abitano questo mondo bagnato di luce crepuscolare sono presenze vampiresche e deliranti, attaccate al piacere come all’esercizio di una patologia della mente e del cuore ancor prima che del corpo. La loro fisicità è infatti un aspetto decisamente secondario, spazzato via dalla furia visionaria di una visione del gender scomposta e onirica: la sessualità è un pretesto per essere difformi, un’ascia di guerra da dissotterrare per sbandierare la propria diversità, uno strumento di controllo dell’immaginario attraverso il rifiuto sprezzante del tradizionale. Tutto ciò il film lo sa bene, e lo porta avanti con ammirevole carica eversiva. Al di là dei compiacimenti, delle trovate bizzarre, delle derive prive di senno e di senso.

Matthias, Alì e Udo sono immortali, dediti a orge in compagnia di tizi come a Cagna, lo Stallone, l’Adolescente e la Stella. Le loro pratiche sono, a tutti gli effetti, dei riti in cui domina tanto l’abbandono allo sperdimento sessuale quanto l’acquisizione di una consapevolezza personale attraverso l’esercizio della devianza. Un film così, con un avvio talmente caraxiano e degli sviluppi ancor più ermetici o in alternativa di dubbio gusto e fuori di testa (Cantona e la masturbazione…), non può sottrarsi da una simile implicazione terapeutica. Un film di neon, parrucche, volti sfregiati, lumi di candela ottocenteschi, cieli stellati. Si respira anche una specie di tepore umano condiviso dentro l’immagine e persino fuori da essa, quasi di partecipazione silente da parte di chi tale mondo lo mette in scena ai suoi destini. Un gran bel segno di coesione e tensione, a livello creativo, che persiste fino al meraviglioso finale crepuscolare.  L’artificio si sente, e molto spesso la sensazione è di essere guardati più che di guardare. E non è detto che sia un male, essere per una volta realmente passivi più che falsamente attivi, come spesso capita dinanzi a molto cinema. Presentato a Cannes nel 2013 come proiezione speciale della Settimana della Critica e vincitore del Milano Film Festival nello stesso anno. 

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