ANNA KARENINA di Joe Wright

REGIA:  Joe Wright
SCENEGGIATURA: Tom Stoppart
CAST: Keira Knightley, Jude Law, Aaron Johnson, Kelly MacDonald
NAZIONALITÀ : UK, Francia
ANNO: 2012
USCITA: 21 febbraio 2013

POP ART

I romanzi di Tolstoj non sono certo materia facilmente commestibile né malleabile. Ostili, metalinguistici, alacramente contraddittori eppure estremamente affascinanti e coinvolgenti. Nonostante le sue innumerevoli sfaccettature, Anna Karenina, quintessenza letteraria dello scrittore russo, viene lavorata come creta nelle mani di Joe Wright che ne riproduce tutti gli altalenanti piani di lettura. Regista eclettico e filologico, capace di adattare per il grande schermo romanzi letterari differenti come Espiazione e Orgoglio e Pregiudizio, mette in scena un’opera architettonicamente barocca ma profondamente moderna.

Ecco dunque che un siparietto molto vivace, ampolloso e saturo di colore al punto da sfiorare il kitsch, introduce gli spettatori nella Russia Imperiale del 1874, in una società basata su schemi ciclici e rituali che si ripresentano sempre identici a se stessi. Personaggi ovattati, caricaturali, selvaggiamente roccocò, abitano in un mondo depurato da qualsivoglia sprazzo di improvvisazione. La principessa Karenina, colpevole di aver ceduto alle lusinghe dei sentimenti passionali e lussuriosi per il giovane principe Vronsky, e, quindi, di aver espresso liberamente il proprio istinto animalesco e primitivo, viene ripudiata dalla sua stessa società, marchiata come adultera e trattata come una prostituta di alto borgo. Eroina letteraria moderna e sensuale, viene incarnata sullo schermo da una Keira Knightley altalenante e perennemente sopra le righe. Il suo continuo oltrepassamento dei confini, fisici e morali, infatti, la trasforma nella principale nota stonata della sinfonia, nel punto di rottura dell’equibrio sociale, nell’unica lettera scarlatta all’interno della composizione.

Pennellate vivaci, accurate, spasmodiche aggiungono colore all’universo monocromo della pellicola. Citando la Colazione sull’erba di Monet e, più in generale, tutta la corrente impressionista e macchiaiola, Wright si improvvisa pittore e copista, autore e scriba, cineasta e cinefilo. Più vicino all’irruenza pop(artistica) di Luhrmann che alla delicatezza classica delle Cime tempestose di Andrea Arnold, il regista realizza la pellicola sottoforma di una costante myse en abyme come finestra sul mondo. Un vortice serigrafico pieno di luci ultraviolette e psichedeliche, quasi rock, infatti, non può fare a meno di coinvolgere persino coloro che, fingendo di non avere tempo, dimenticano che “in ogni uomo è nascosta una belva feroce che non ha niente a che vedere con la sua anima“. 

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