MIELE di Valeria Golino

REGIA: Valeria Golino
SCENEGGIATURA: Valeria Golino, Francesca Marciano, Valia Santella
CAST: Jasmine Trinca, Carlo Cecchi, Libero De Rienzo, Vinicio Marchioni, Iaia Forte, Roberto De Francesco, Barbara Ronchi, Massimiliano Iacolucci, Valeria Bilello
NAZIONALITÀ: Italia
ANNO: 2013
USCITA: 1 Maggio 2013

MALE DENTRO (KILLING THEM SOFTLY)

A scorrerne la sinossi, l’opera prima della Golino (dopo il corto Armandino e il madre) pareva un po’ a rischio manfrina ideologica. Invece Miele stupisce, per concretezza e fermezza, nel suo corso imperterrito e ferrato e nel giusto dosaggio di modi e tempi.

Scivolando lungo la schiuma dei giorni, Irene  vive al massimo: va in bicicletta, ascolta musica, fa l’amore, picchia, piange, nuota, spesso in contatto con l’acqua come alla ricerca di un liquido amniotico o una rinascita; frattanto, manda avanti rapporti feriti dalle bugie, col padre, con un’amica, con un amante senza futuro. A più riprese (si) spoglia, per scrollarsi un peso che accumula di volta in volta nel momento in cui indossa il suo nome in codice, la sua identità segreta: Miele, per una donatrice di dolce morte un’etichetta tanto rassicurante quanto vischiosa. Perché non si sente una paladina, piuttosto quello che fa e in cui crede ricorda di continuo a Irene la fragilità umana.

L’impegno da sempre vissuto come una doverosa missione per rispetto della dignità individuale la manda però in panne quando si trova a gestire un dilemma morale, nell’intercettare un uomo che la morte la desidera pur avendo a disposizione un corpo e una mente materialmente funzionanti, eppure consumati dal tedio e da un sentimento generale di inconsistenza.

La Golino ha la coscienza del mezzo e della necessità del rigore: Miele è un film che non slabbra, procede dritto come un fuso lungo il suo binario d’intenti con misurata intensità, senza patetismi né retorica, consapevole dei rischi della materia. E riesce a tratteggiare con efficacia la delicata autopsia esistenziale di una ragazza che come meccanismo di difesa divora celermente giorni ed energia; Irene (che ha lo sguardo maturo, duro, di Jasmine Trinca) s’impone la freddezza per resistere e non crollare mentre tra note flebili inietta il fine vita (o meglio sopravvivenza) ad un ragazzo dagli occhi corrosi dalla rabbia, che la fissa e vorrebbe sussurrarle (incapace di articolarlo a parole) “ti ho sognata stanotte”.

Infine, se nell’ultima parte cede leggermente al didascalismo del troppo detto (forse provocato da una naturale ansia da prestazione ed esposizione), l’autrice sa quando staccare e farsi indietro lasciando campo al silenzio del quotidiano e dell’addio, senza ulteriore invadenza.

In chiusura, una postilla amarognola: vedi un bel film italiano come questo (idem dicasi per lo stimolante Lo Cascio intellettual-spirituale di La città ideale – altro esordio recente –), e la prima impressione è che non sembra un film italiano (Miele rievoca quasi il cinema francese, guarda caso Un certain regard l’ha accolto a braccia aperte). Un po’ sconfortante.

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