LA MIA VITA È UNO ZOO di Cameron Crowe

REGIA: Cameron Crowe
SCENEGGIATURA: Aline Brosh McKenna, Cameron Crowe

CAST: Matt Damon, Thomas Haden Church, Colin Ford, Maggie Elizabeth Jones, Scarlett Johansson
NAZIONALITA’: USA
ANNO: 2011
USCITA: 8 giugno 2012
TITOLO ORIGINALE: We bought a zoo 

CROWELANDIA: VEDI ELIZABETHTOWN E POI MUORI

Persino un compositore “immobile” come Cameron Crowe può cambiare, senza per questo alterare di una singola nota la grandezza dei propri film: comunque personali, unici, magistralmente imperfetti, balsamo per l’anima. Creature insomma, degne del miglior cantastorie. We bought a zoo schiaccia il tasto play introducendo un’assenza che disorienta e in parte angoscia gli abituè dell’ex Rolling Stone: la musa, l’incontro salvifico, l’ultimo treno, la donna della (tua) vita non c’è (più). Semplicemente perché è morta. Niente Ione Skye (Non per soldi…ma per amore), nessuna Renèe Zellweger (Jerry Maguire), figuriamoci Kirsten Dunst (Elizabethtown). Almeno in carne e ossa. Per la prima volta in carriera, Crowe decide di misurarsi con un uomo “abbandonato”, che da solo deve rialzarsi da terra, scrollarsi di dosso la polvere del lutto e ricominciare. Da zero. Senza alcun aiuto terreno da parte della metà femminile. La dipartita di un caro faticosamente affrontata prima e realizzata poi in Elizabethtown, diviene motore emotivo tirato a lucido in We bought a zoo: a sua volta acceso da una storia sulla carta bislacca e condotto per mano da un protagonista che Crowe, come mai aveva azzardato fare, concepisce sì come inguaribile sognatore, ma al tempo stesso adulto. Nessun aspirante rocker burlone o tormentato (Singles o Almost famous), bensì un semplice padre di famiglia con due figli a carico: diretta e crescente evoluzione anagrafica dell’ex  arrampicatore sociale Drew Baylor, che ha appena finito di piangere la sua Claire. We bought a zoo si ripete su questo semplice e orecchiabile giro di accordi narrativi, crescendo assieme alla parabola di (nuova) vita percorsa da un uomo tra i tanti, che Crowe tratteggia snocciolando la consueta formula magica registica, alzando il volume in prossimità di quei picchi empatici e sentimentali, per le riconoscibili sonorità dei quali, tutto o quasi gli si concede e in parte gli si perdona, compreso qualche strafalcione in sede di dialogo che da sempre, invero, lo caratterizza.  Nel bene e nel male. Detto della novità introdotta, è altrettanto evidente come Crowe continui ad avvicinarsi ai suoi film amplificando una leggerezza melodica che tutto accompagna e trascina, dinamica di base che ammanta lo spettatore, facendo si che creda non solo a Crowe, ma addirittura al suo intero mondo, glassato e impunemente a stelle e strisce: personaggi e storie inclusi, per quanto queste ultime possano sembrare di cartapesta ad un passo dall’afflosciarsi. Eppure We bought a zoo suggerisce un Cameron Crowe diverso, interessato più agli intrecci uman-relazionali di un’allargata famiglia di fatto, preferiti all’ormai consolidata complicità uomo-donna che, nell’arco della narrazione, passa dallo status di (im)possibilità a quello di innamorata e complice realtà di coppia. Prova ne sono i due flirt che fanno appena da tappezzeria alla sua ultima fatica, li stessi che rispettivamente attraggono coscienziosamente Matt Damon e Scarlet Johansson e teneramente uniscono Colin Ford e Elle Fanning: una volta potenziali situazioni cannibale della scena, oggi poco più che comparse sullo sfondo di un assolo al maschile. Crowe, insomma, cresce, si evolve e in un certo senso addirittura “matura”, pur disseminando il cammino di indizi poetici ormai consuetudine riconoscibile: vedi l’abitudinaria frecciata anti yuppie (che si esaurisce nel percorso di “conversione” affrontato da Thomas Haden Church), i classici “tic” di sceneggiatura che diventano ritornello (il “why not?” di We bought a zoo come la macchina fotografica immaginaria di Elizabethtown), oppure la solita, confortante, capacità di musicare come meglio non si potrebbe il susseguirsi delle immagini, che raggiunge il clou con l’estrazione dal cilindro di Hungher strike dei Temple of the dog, e fa il paio con i subliminali flashback di Backspacer (album per il quale Crowe ha diretto il video di The Fixer) sulla t-shirt di Matt Damon, passando per gli omaggi sibillini al “right guitar” dei Pearl Jam Mike MacCready, che in We bought a zoo presta nome, e cognome, ad Angus Macfadyen. Dopo sei anni di silenzio, ecco una stagione cinematografica attraversata per intero da Cameron Crowe: prima con PJ20, adesso con We bought a zoo. Era ora. Ce lo meritiamo. 

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