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The dark side of a perfect world: BLUE CAPRICE di Alexandre Moors

blue caprice (2)

REGIA: Alexandre Moors
SCENEGGIATURA: R.F.I. Porto
CAST: Isaiah Washington, Tequan Richmond, Tim Blake Nelson, Joey Lauren Adams
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2013

Sottofilone di genere con tutti i crismi del caso, lo sniper movie è stato spesso e volentieri utilizzato dal cinema americano come cartina di tornasole utile a sviscerare paranoiche ossessioni di personalità deviate; una costola del thriller attratta dall’alienazione che si fa minaccia: terrificante in quanto irrintracciabile e imprevedibile, perché conseguenza di un modus operandi che alla pianificazione delle vittime ideali preferisce sovente l’improvvisazione del caso.

Edward Dmytryck ne inaugurò la tendenza con il profetico The Sniper (Nessuno mi salverà), Bogdanovich se ne servì agli esordi per Targets, mentre Zinnemann ne sfruttò l’inquadratura tipo (il mirino che in soggettiva si sofferma sulla vittima-bersaglio) per Il giorno dello sciacallo. Durante e dopo una successione di pellicole più o meno cult (Panico nello stadio, ad esempio) riverberavano la mai rimarginata ferita dell’esecuzione di Dallas, contribuendo a rovesciare usi e costumi di un paese che contraddittoriamente vieta la vendita degli alcolici ai minorenni ma non pone veti, né limiti, relativamente all’acquisto di armi da fuoco.

In questo limbo sociologico, sospeso tra realtà romanzata e intrattenimento da sala, s’inserisce l’esordiente Alexandre Moors, che assoggetta i canoni dell’esempio cinematografico alla ricostruzione delle gesta omicide meglio conosciute come Beltway Sniper Attacks. Non inganni però, l’intro documentaristico abbandonato ai filmati di cronaca: più che alla trasposizione calligrafica dei fatti, Moors è interessato alle potenzialità intrinseche possedute dagli avvenimenti in questione; spunti che gli offrono la possibilità di indagare su individualità cresciute ai margini della bandiera a stelle e strisce: dissociati, monadi urbane, cani randagi esclusi dal sogno americano (emblematica, a tal proposito, la “lezione di geografia” sulla differenza di considerazione tra lo stato di Washington e Washington DC), punti saltati dalla sutura approssimativamente applicata sullo squarcio sanguinante dell’11 settembre.

La metafora politica, seppur in questo caso più ostentata, avvicina Blue Caprice a Cogan – Killing them softly nel momento in cui Isaiah Washington si lascia scivolare addosso le parole di Obama provenienti dalle tv di qualche bar di second’ordine; né più né meno come accadeva al sicario Brad Pitt. La morale, d’altro canto, è semplice quanto efficace: gli Stati Uniti continuano ad allevare il nemico dall’interno, nutrendone la lucida follia attraverso la brusca disillusione delle sue speranze di affermazione su scala e piramide sociale. Di fatto affamandolo, costringendolo, quasi, al gesto estremo.  

Blue Caprice ha un debole nascosto per il cinema di David Gordon Green e lo dimostra nel momento in cui si libera del suo incipit da telegiornale per strizzare l’occhio a George Washington; salvo poi rivelarsi prepotentemente come l’altra faccia, malata e omicida, de Il mondo perfetto dove, anziché svilupparsi in un viaggio avventuroso, la paterna diade genitore – figlio (adottivo) si trasforma in  una brutale educazione all’odio calcolato e alla violenza pianificata.

Chiunque o quasi, d’altronde, avrebbe potuto girare un onesto exploitation basandosi sui ritagli dei quotidiani riportanti la memoria di indifesi sacrificati sull’altare di un fine presunto superiore. Moors al contrario, opta per qualcosa di diverso, quasi Blue Caprice fosse, ambiziosamente, il suo Summer of Sam strutturato su parametri di sottrazione: thriller-drama al silenziatore tra le dinamiche del quale la carica action viene anestetizzata e dove a farla da padrone sono le psicologie alterate (o alterabili) dei personaggi.

Nonostante non manchino all’appello alcuni movimenti di macchina ormai classici per qualunque pellicola voglia passare al Sundance (la prevedibile inquadratura di spalle, meglio ancora se “di quinta”, di uno dei personaggi chiave) e malgrado i raccordi ellittici non sempre diano l’impressione di funzionare alla perfezione, Blue Caprice convince, arricchito com’è da una fotografia metallica e uggiosa, sottolineata con effetto straniante dall’utilizzo quasi drone di archi sinfonici in sede di colonna sonora.

Oltre alla lista delle vittime c’era dell’altro da raccontare. E’ su questo che si concentra Alexandre Moors, gettando le basi per un feedback universale e guadagnando terreno di considerazione critica lì dove un Rampart finiva inesorabilmente per autosabotarsi.

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