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AVENGERS: INFINITY WAR di Anthony e Joe Russo

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REGIA: Anthony e Joe Russo
SCENEGGIATURA: Christopher Markus, Stephen McFeely
CAST: Robert Downey Jr., Chris Hemsworth, Mark Ruffalo, Chris Evans, Scarlett Johansson, Paul Bettany, Elizabeth Olsen, Benedict Cumberbatch
ANNO: 2018
PRODUZIONE: USA

Il modo migliore per giudicare un cinecomic del Marvel Cinematic Universe sarebbe avvicendarcisi senza averne visto nemmeno uno. Cosa praticamente impossibile. Adesso che la serialità imposta è socialmente ben accetta (anzi, nuovo standard), cosa possiamo fare di fronte alla seconda cornerstone (il primo fu il primo Avengers, ma non di certo il secondo) di un franchise decennale? Godere dell’essere giunti a un potenziale culmine un po’ come eravamo in grado di sciropparci decine di episodi fatti di sguardi e muguni di Dragonball in attesa di vedere Goku trasformarsi in Super Sayan (accadde un’estate di sedici o diciassette anni fa)? Mio dio, no.

Chi scrive pretende che ogni film dell’MCU sia considerato, appunto, un film. In questo caso un film dei fratelli Russo, gli unici in grado di resistere ai tentacoli Disney fino ad adesso, fautori dei migliori MCU mainstream (perché ci sono anche i film brach, grazie sempre a dio), cioè il secondo e il terzo Captain America. L’Olimpo che spetta loro però, adesso, è quello dei registi in grado di essere in contemporanea i registi del meglio e del peggio, perché Infinity War è l’apice della beffa di tutto il filone.

Ok che si tratta di una “prima parte di un ennesimo, per quanto cruciale, episodio”, ok che si tratta di un turnover preparato lungo anni, ok la suspense. Ma se fino ad ora ci siamo ritrovati davanti a episodi in cui succedeva qualcosina, adesso ci ritroviamo spiaggiati davanti a minuti e minuti in cui aspettiamo che succeda qualcosa (un qualcosa che, proprio in virtù degli episodi precedenti, sappiamo benissimo cos’è), in un esasperato “tirarla per le lunghe” nel quale anche le più prodigiose scene d’azione scompaiono.

La magia dell’intera operazione MCU è stata quella di far regredire ai minimi storici le necessità dello spettatore. Se con le serie TV è accaduto che non serve più fare in modo che ogni episodio sia insieme saziante e stimolante abbastanza da far esigere alla fame spettatoriale il successivo perché ormai le serie vengono masticate stagione per stagione e non episodio per episodio, coccolati dalla certezza di un seguito i più sono tarati sul poter tranquillamente aspettarsi niente da un film (se non il già citato qualcosina), attratti dal meccanismo sterile, appunto, dell’Infinity (che non sono né gems né una piattaforma di streaming).

Come in un matrimonio portato avanti senza troppe paturnie, all’ormai coniuge MCU non chiediamo nulla. E lui nulla ci dà.

Perché Infinity War è il peggio? Perché con l’esiguità del suo plot, la sciatteria del suo montaggio, l’avarizia delle sue immagini (immagini pessime e sfocate per risparmiare sul rendering), la rudimentalità dei suoi dialoghi e tutto il suo basarsi su ciò che lo precede e ciò che lo seguirà lo rendono in tutto e per tutto un non-film, un non-cinema.

E se il meccanismo d’affezione e d’affiliazione può tranquillamente funzionare, soprattutto sul finale, è perché può essere facile (se non automatico) attaccarsi a dei personaggi scissi con equilibrio tra pop, comicità e dramma. Ma dar valore a un meccanismo emotivo di questo tipo è dimenticarsi che ai personaggi talvolta basta una singola inquadratura. Non che farlo in decine di film sia semplice, certo. Ma questo clima di promessa perpetua ha qualcosa di para-religioso, nel senso peggiore del termine.

O forse è proprio questo, a costo di risultare snob («Preferisco i b-sides»): il meglio dei film MCU è tra i disadattati e nelle periferie, cioè nei film collaterali. E forse proprio questo ci rende ostinati a proseguire: il fatto che accanto a uno scempio corale come Infinity War ci siano anche commedie pure e autosufficienti come Thor: Ragnarock o il primo Guardini della galassia.

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