in sala (cannes 2013)

La fragile delicatezza della contemplazione: FATHER AND SON di Hirokazu Kore-eda

like father like son

REGIA: Hirokazu Kore-eda
SCENEGGIATURA: Hirokazu Kore-eda
CAST: Masaharu Fukuyama, Machiko Ono, Yoko Maki, Riri Furanki
ANNO: 2013

«Lecce, scambio di neonati in ospedale », «Le sedicenni scambiate nella culla “Abbiamo due mamme e due papà”», «Scambio di culla e destino tra israeliano e palestinese», «Sorpresa, il neonato è di colore: scambio di culle all’ospedale di Mestre». Basta fare una ricerca per scoprire come il fenomeno delle sostituzioni accidentali di bimbi in una camera neonatale sia tutt’altro che infrequente, anche presumendo che pochi siano i casi a venire poi a galla. Ora poi è venuto alla luce anche uno scambio di embrione. Quando gli antichi romani coniarono l’espressione «Mater semper certa est» non potevano certo prevedere la malasanità dei secoli futuri. E il cinema? La vita è un lungo fiume tranquillo, Grazie per la cioccolata, Il figlio dell’altra: evidentemente il tema deve stare molto caro al cinema francese, ma IMDB cataloga ben 31 titoli a tema “switched-at-birth”. Con l’inevitabile corollario che le due famiglie dei bimbi scambiati appartengono a diversi ceti sociali, e quindi giù con le riflessioni sociologiche su a quale dei due bambini sia andata meglio.

Nel cinema giapponese il tema si inserisce in quello della famiglia, che pervade questa cinematografia partendo dai suoi classici, Ozu in primis, per arrivare alle tante famiglie disfunzionali raccontate nei film contemporanei. E così Kore-eda Hirokazu si appropria e sviluppa questo soggetto nella sua ultima opera, uscita in Italia con il titolo Father and Son (se poi i distributori italiani ci spiegassero perché, tanto per usare un titolo in inglese, non lasciare quello internazionale ufficiale Like Father, Like Son…).
Kore-eda è partito svolgendo una serie di ricerche sui casi di cronaca di questo tipo, frequenti in Giappone negli anni del boom demografico. Anche nella sua filmografia la famiglia gioca un ruolo centrale, passando dai quattro figli tenuti nascosti dalla madre perché non registrati all’anagrafe, in Nobody Knows, alla riunione famigliare ozuiana di Still Walking. Come nel primo di questi due film, il regista vuole interrogarsi sul concetto stesso di legame famigliare, scorporandolo così platealmente tra la parentela di sangue, biologica, e quella affettiva dovuta al vivere insieme, all’imprinting.

Tutto questo per Kore-eda passa attraverso la sua concezione di cinema dei riverberi, di cinema come calma piatta, di cinema contemplativo. Vale la pena, a tal proposito, riesumare una sua importante affermazione a proposito di Still Walking: «Nel corso della giornata, apparentemente tranquilla come un mare piatto, la marea sale e scende, e piccole onde increspano costantemente la superficie. In questo film ho contemplato e ritratto quelle piccole onde che riemergono nel corso di una vita. Non ci sono tempeste. Viene rivelato solo quello che precede e segue un evento drammatico. In altre parole mi sono concentrato sulle premonizioni e sui riverberi dell’esistenza, perché sono convinto che sia lì che si nasconde l’essenza della vita». E così Kore-eda contempla tutto quello che un qualsiasi altro cineasta lascerebbe tra parentesi. I conflitti sono elusi in favore delle immagini della natura, con le loro simbologie, il fiume, i ciliegi in fiore, le nuvole, l’alternarsi delle stagioni. E quelle artificiali, i parchi giochi, i centri commerciali, i treni, i tralicci dell’alta tensione, le strade. Mentre su un fiume che scorre avviene la riunificazione delle due famiglie, i vari viaggi in auto sono ripresi in campo lunghissimo. Sono le strade, le direzioni della vita, che possono casualmente incrociarsi e drammaticamente separarsi e allontanarsi.

 

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