VENEZIA 2012 – Dio sì, dio no, Dioniso.

Una giornata a rincorrere dio, a chiedergli che non piova, o che piova forte. A cercarlo in sala, nel trip di un’inquadratura: cinque, basterebbero cinque secondi, o un piano sequenza senza fine.

Dicevamo.

Alle nove del mattino dio poteva essere Kad Merad in Superstar (in concorso, purtroppo): la fama dal nulla, l’innamoramento mediatico per gesti inutili, l’odio per gesti e basta. Luci, montaggio, Cecile De France fermentata. Strappare una risata. Ma tra inferno e paradiso, Xavier Giannoli non è capace di scegliere. Si rimane intonsi per la chiacchera warholiana, per i video su youtube; arriva tardi, o forse non ci muove neppure, davanti all’illuminazione/fardello, incapace della decadenza necessaria a farci cadere nella trappola televisiva, nel bitter, nel trionfo dell’assenza (essenza) che un’overdose di riflettori può dare.

Alle undici del mattino dio poteva essere Michael Shannon in The Iceman (fuori concorso, ri-purtroppo): ché la spietatezza gelida di un killer impassibile fa da mousse, se messa in mani decenti – quelle di Ariel Vromen, qui. E romanza, e biografa, e inventati qualcosa per riprendere omicidi in modo nuovo. Ringiovanisci Winona Ryder. Scorsesizzati quanto basta. Un cameo di James Franco. Dio c’è, nello scheletro della sceneggiatura, e uccide. Ma pare non importare a nessuno.

Alle diciannove e trenta dio potevano essere Dennis Quaid, Zac Efron o Heather Graham, in At any price di Ramin Bahrani (in concorso): il primo con lo sguardo allucinato di un Malcolm McDowell di quarant’anni fa, il secondo con la giusta dose di merda nei modi e nell’animo, la terza scopando in granai e casotti. Voler andarsene. E la fotografia si riempie tanto limpida quanto maggiore è il vuoto che descrive. Non si amano, forse uccidono. Non volano su campi di grano rettangolari, li coltivano. Religione e provincia: i grandi killer, non fanno prigionieri. Al massimo ti mettono addosso una t-shirt di Zombi 2.

Alle ventidue dio è l’inferno, dio è le vacanze, nella seconda parte della trilogia celestiale/fustigatrice di Ulrich Seidl. Dopo l’amore, la fede. La condotta disumana di Siedl si rinnova ed insieme rimane identica. Il bigottismo, l’handicap, l’asfissia da vuoto periferico e mentale, la devozione ad un nulla, fino ad un incesto col figlio di dio. Quanto è difficile resistere ad un’orgia in un parco. Nella secchezza delle inquadrature, per due ore reiterata l’incombenza, l’assoluta mancanza di vie di fuga. E, sì, ancora: religione e provincia, i grandi killer, non fanno prigionieri.

Oggi, intanto, per adesso, dio è Michael Jackson, di nuovo, in Bad 25 di Spike Lee.
Ma poco c’entr

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