TO THE WONDER di Terrence Malick

REGIA: Terrence Malick
SCENEGGIATURA: Terrence Malick
CAST: Olga Kurylenko, Ben Affleck, Rachel McAdams, Javier Bardem, Tatiana Chilin, Romina Mondello
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2012
USCITA: 4 luglio 2013

ODE AL( DI LA’ DEL)LA VITA

L’amore-ai-tempi-dell’amore e cioè della (ultra)meraviglia è flusso polisinfonico ed estasi visuale, uno sciabordare di attimi di percezione come miracoli ultraterreni, sul perenne ciglio di sacro & profano: è l’impatto di To the wonder, un vortice di affluenza sensoriale che raffigura la circolarità dell’andirivieni trasognato degli amanti con un ardente estremismo espressivo.

Lo sguardo di Malick trasfigura la realtà fenomenica, la sonda tramite una regia che è istillazione celestiale che riluce nell’immagine e trasmigra di volta in volta in un soffio di vento/un filo d’erba/un’increspatura d’acqua/un raggio di luce. La sua è pura sublimazione nei cinque sensi-(che sono)elementi, nella visione spirituale di un misticismo terreno, una trascendenza immanente. Irradia le inquadrature annullando la separazione degli stacchi: il montaggio si fa flusso ellittico ed ipnoidale, lingua argentea che lecca i contorni sulfurei dei giorni.

Lo stesso si può dire e si è detto dello stratificato e omnicomprensivo Tree of life di cui To the wonder è a tutti gli effetti un ganglio, legatovi a doppio filo sinaptico. E per quanto e-st(r)enui tali stilismi e stilemi, Malick non corteggia il manierismo: sentiamo piuttosto il calore del ritorno a casa, di una familiare riconferma che incide sempre più pervicace, che è esistenziale ed esperienziale.

La via della natura e la via della grazia introdotte da Jessica Chastain nell’Albero vengono qui riproposte, la prima dall’amore tra la Kurylenko e Affleck, ripercosso e ostinatamente in a/r, e la seconda cercata nel credo da Bardem (attori ma prima di tutto corpi in movimento portatori di un etereo fulgore ascendente). Amore come fede e fede come amore: un amalgama alchemico che tuttavia ha un effetto meno potente ed organico di The tree of life (laddove era fortemente chiara una filosofia del Tutto in Uno, dell’Uno nel Tutto). In ogni caso, quel che emerge ancora una volta è che l’intenzione rappresentativa di Malick s’astrae dal concetto di religione o di cattolicesimo, per riversarsi semmai in una metafisica vitalistica ed errabonda, nella ricerca ultraterrena di un sovrannaturale laicamente e finanche romanticamente inteso e recepito.

Evidentemente in un produttivo stato di grazia (!) e incontinenza creativa, negli ultimi anni Malick ha preso a sfornare una pellicola dopo l’altra a ritmi per lui inauditi, dritto per la sua strada e incurante di strafare o snervare (qui relegala McAdams a intermezzo, fantasma solare di giorni/sogni traslucidi (il minutaggio pervenuto è meno di 15 minuti), e non teme di trasbordare nel ridicolo con l’apparizione mirabilmente trash del personaggio della Mondello). Ma non perde mai l’incanto d’una litania che sembra una carezza verso gli esseri umani, in costante inseguimento di ciò che c’è di più imprevedibile e sfuggente: l’amore, un castello al di là delle nubi che la marea nasconde dal resto del mondo (e dopotutto come trovare esempio migliore dell’onirico e inafferrabile Mont Saint Michel), una fortezza immensa di cui due sole colonne portanti bastano a formarne, fragili e indomabili, struttura ed essenza.

Amore che vieni, amore che vai: l’unione tra vita e morte, divino e umano, lui & lei, come interscambiabili; To the wonder contempla l’amore al pari di una radioscopia del desiderio di sentire le cose e nobilitarle d(on)andogli un senso (di trascendenza come di materialità, di concretezza come di immortalità e purezza) che pacato e implacabile incide e custodisce la rotta dei nostri occhi.

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