LA COSA di John Carpenter

REGIA: John Carpenter
SCENEGGIATURA: Bill Lancaster
CAST: Kurt Russell, Wilford Brimley, T.K.Carter, David Clannon
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 1982
TITOLO ORGINALE: The Thing

WESTERN ON THE ROCKS

Il secondo La Cosa si nutre del concetto stesso di appropriazione. Tanto simbolico quanto intratestuale. Carpenter scava fino alle origini del prototipo, tirando a lucido l’intuizione di Who goes there? invero snobbata da Nyby e Hawks: già nel 1938, John W. Campbell canonizzava la teoria dell’ultracorpo, anticipando non solo The Body Snatchers, Il villaggio dei dannati e Alien, ma addirittura il fondamentale testamento su carta meglio conosciuto come Gli invasati di Jack Finney. John Carpenter torna alla primigenia e letteraria teoria restituendole centralità e dignità, pianificando inoltre buona parte del suo cinema a venire. L’ossessione dell’identità pervade La Cosa, finendo per accomodare la pellicola in quel solco “fantapolitico” di protesta anti Reagan, che toccherà il suo apice con Essi vivono proprio sul finire degli ’80. Nell’aggiornare intellettualmente la prima trasposizione cinematografica di Campbell, a Carpenter non sfugge di omaggiare, comunque, il (suo) maestro Hawks, perfezionando l’atmosfera da assalto al fortino che è diretta eredità della devozione espressa nei confronti di Un dollaro d’onore, variante quest’ultima, già introdotta grazie al precedente Distretto 13 e qui riformulata in un contesto sci fi; dopo quello per eccellenza”, sicuramente il genere più caro al creatore di Halloween. Ne consegue che La Cosa si contestualizzi come ibrido fanta-western, identico modellino dal quale l’autore tornerà ad attingere quando verrà il momento di strutturare Fantasmi da Marte, che proprio ai classici della frontiera tanto deve e altrettanto omaggia. Anthony Mann e Il grande silenzio di Sergio Corbucci incorniciano il maestoso incipit, roccioso e innevato: mentre l’amore per Hawks fa il resto, vuoi nel tratteggio cowboy, burbero e antieroistico studiato per Kurt Russell, vuoi nella tendenza a trattare alcune sottotrame cameratesche e militari già presenti all’epoca del prototipo, qui parimenti preferite ad un approccio scientifico individuato come risolutiva risposta al problema/minaccia. Eventualità questa, naturalmente scartata a priori. Lo scheletro da Bmovie consente a Carpenter di lavorare in sottrazione, asciugando le dinamiche di racconto fino a ridurle all’essenza. Nella delegazione americana di stanza in Antartide non vi è spazio, considerazione e posto, né per la presenza femminile, né per il sentimento di sincera amicizia. Ciò rimarca il costretto cameratismo del gruppo (quindi l’imput per la serpeggiante sfiducia che si realizzerà come chiave di violino del plot), reso claustrofobico dall’angusto della base. Quasi una rivisitazione dell’approccio sbrigativo e armato ostentato da Nyby e Hawks, proprio nel momento in cui i componenti della spedizione si ritrovano a fare i conti con “l’ingresso” dell’alieno, quindi dello straniero, della minaccia, che da esterna si fa interna. In tutti i sensi. Di sotterranea maniera, La Cosa resta a tutti gli effetti un film di John Carpenter: secco e conciso, precipita in picchiata sfruttando la sua pista di ghiaccio, investendo lo spettatore come farebbe un kayak lanciato a tutta velocità, libero persino dal freno dell’attrito. Una tempesta di neve che tutto copre e nulla risparmia, i cui resti finiscono per liquefarsi sotto i getti di un lanciafiamme: ghiaccio e fuoco lasciano appena sopravvivere il fermo immagine di Kurt Russell. Unico sopravvissuto assieme ad un compagno di colore. Un finale che farebbe invidia a Romero. 

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