VITA DI PI di Ang Lee

REGIA: Ang Lee
SCENEGGIATURA: David Magee
CAST:  Suraj Sharma, Irrfan Khan, Rafe Spall, Gérard Depardieu, Tabu
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2012
USCITA: 20 dicembre 2012

DIO E’ UN PERSONAGGIO SVILUPPATO MALE (CIT.)

Insincera esaltazione dell’artificiale, (in)volutamente fake, affresco plastica pastello gommoso gonfiato di una magia che si cerca affannatamente (la gioia del raccontare, forse, o perlomeno l’entusiasmo naif, assente) affogando nelle sue stesse acque di cgi, e dunque di nulla, di aria, laddove la carne non conta, in un altrove insistentemente parlato, ricordato, rimesso in dubbio per poi sparire. Vita di Pi fallisce dove trionfò La tigre e il dragone: nel rendere leggiadra poesia enfatica e composizione sinfonica il movimento dei corpi nello spazio. Qui, dove è addirittura amplificato col 3d, lo spazio si riduce invece a falso specchio, a un rimbombarsi di effetti che saranno anche speciali, ma che sanno un po’ di addobbi in mancanza di una pulsazione, di un cuore, una materia. Ang Lee mostra la natura camuffandola da debole fiaba che va in autocombustione: vedasi il momento tanto pompato della balena, che finisce però nel riportarci in viaggio con Tom Hanks in Cast Away, lì sì di un toccante infinito, di una bellezza afferrabile, fuoriuscente dallo schermo nonostante l’assenza di stereoscopia. Questi animali, questi pesci volanti e queste meduse fosforescenti che non puntano alla creazione di un nuovo mondo ed immaginario (che era invece l’intenzione dell’Avatar di James Cameron, un’opera a cui spesso è stato paragonato Vita di Pi), bensì a mostrarci la bellezza magica del reale, sono paradossalmente disfunzionali proprio per l’evidente camuffamento che sa più di cartone animato che di sogno, di quadri freddi che di trepidanza onirica. In questo senso, consigliamo invece la visione di Beasts of southern wild di Behn Zeitlin, avvistato a Cannes e prossimamente in arrivo anche fra le nostre sale: lì, l’incontro tra un ragazzo e un animale ha davvero il pulsare del sangue, la trasfigurazione del verosimile in stacco immaginifico, incanto. E senza dover tirare fuori pippe infinite e inutili sulla religione, qui ficcata da Ang Lee come Nanni Moretti parlerebbe di astrofisica; in Life of Pi, si parla troppo di Dio e se ne parla male, come se la dimensione religiosa del racconto fosse forzatamente incollata, fastidiosa come il classico pezzo di riso che ti rimane attaccato al mento durante una cena dal cinese. Peccato, perchè sappiamo che Ang Lee non è un pirla, e anche in Life of Pi, scene come quella del naufragio farebbero invidia ai migliori registi del mondo. Eppure, questo è il secondo film che sbaglia dopo l’indifendibile Motel Woodstock, e al terzo saremmo costretti a preparare i dolorosi funerali.

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