venezia-2018

A Star Is Born – Bradley Cooper: Crash through the surface, where they can’t hurt us

Regia: Bradley Cooper
Sceneggiatura: Eric Roth, Bradley Cooper, Will Fetters
Cast: Bradley Cooper, Lady Gaga, Sam Elliott
Anno: 2018
Produzione: USA

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D’approcci facili, premonizioni e assenza di pregiudizi: il vento tira a favore, nell’approcciarsi a questo A Star is Born. Ennesima versione/remake, esordio alla regia di un attore quanto poliedrico quanto amato quanto detestato (un terzo, un terzo, un terzo) ma non ancora spintosi completamente “al di là”, una (anzi La) cantante che prova a rebrandizzarsi (eh sì) come attrice e senza la magniloquenza delle sue esagerazioni da palco che ormai han coperto più di un decennio. In pratica si arriva alla proiezione con il cervello inusitatamente settato sullo zero del piano cartesiano, senza parabole, iperboli, sinusoidi mentali a forzare ciò che può giungere agli occhi e alle orecchie.

Ebbene, A Star is Born è Bello. Un “Bello” detto con gusto, compiacimento, con la bocca ancora piena, come si direbbe “Buono!” ancora masticando. Bello e Buono nel senso più puro, ingenuo, fanciullesco del termine. Un film dove cervello, costrutti e pre-giudizi vengono messi completamente da parte, come davanti a una torta uscita da un flashback, dalla prima volta in cui hai assaggiato il tiramisù.

Ed è Bello unicamente per come è stato realizzato, per quel che contiene. Perché la vicenda è quella dei suoi predecessori e di mille altri film (o prodotti narrativi di ogni tipo), capace di essere scritta oggigiorno da una qualsiasi adolescente, con qualche sporcata più dark da parte di un ragazzo più grande. O viceversa.
Davanti al topos dei topos, al dreaming dei dreaming, al dramma dei drammi, tutto è realizzazione.

E ringraziamo Bradley Cooper, che interpreta, suona, canta e soprattutto dirige con una certezza e una solidità quasi spiazzanti: non è l’attore che si mette in testa di dirigere e poi si ritrova semplicemente a girare quella tot di inquadrature “standard” piazzando ogni tanto quel guizzo che fa sentire registi i non registi (un piano sequenza a cazzo, un’inquadratura brutale a cazzo, uno stacco di montaggio o di scena sciabolante tanto per), ma ha un’idea chiara e precisa su chi seguire e come seguire. Sta addosso ai personaggi, fuori e soprattutto sul palco, incede sui visi e SUI NASI, fonde immagini e musica come in una spirale cremosa, segue – questa la cosa più importante – rispettoso ogni passo della vicenda, nel suo crescere ed eccellere come nel suo progressivo sgretolarsi, senza lasciare niente al caso, al “questa scena è di passaggio”. Una classicità sintattica arricchita da una forza malinconica e da completa devozione che non è mai pochezza, non è mai televisiva.

E si perdonano plot convenience e baggianate (Lady Gaga, arrivare puntuali al lavoro non è un abominio), piegati il giusto al progredire della storia, al mantenere sempre presente l’amarezza. Un film di sogni, di delusioni, di fallimenti, di uomini e donne “sbagliati” che riescono a trovarsi, a darsi un senso. Ma soprattutto un film d’amore e decadimento, decadimento che adombra tutto da principio alla fine, in un’atmosfera spesso cupa che rigetta i lustrini tecnici e non, mai travalicando, mai imponendo (né l’amore né la morte), come invece troppi avrebbero fatto.

A Star is Born riesce in quel che le vicende “realistiche” americane ormai non fanno (perché nolenti o impotenti): darsi al racconto, fondersi con le immagini, far palpitare i suoni (neanche questo si poteva dare per scontato, anzi: i manuali del pregiudizio avrebbero ipotizzato uno o due brani orecchiabili appiccicati al film, quando invece ogni elemento musicale è il film), scrivere senza voler a tutti i costi essere sagaci, amare.

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