VENEZIA 2010 – Giorno 4: vuoti a perdere pt. 1

Nell’immagine sopra: la nostra spedizione veneziana il pomeriggio di domenica 5 settembre, poco prima di andare a ripararsi da Luciano Salce e da Steno, mentre cammina dentro la tabella degli orari di programmazione di quest’oggi; sullo sfondo il film di Pablo Larrain alla sera. Probabilmente domani ci sarà solo da darsi al gossip (se non lo stiamo già facendo) e alle guide turistiche per gli approvvigionamenti sull’isola a forma di costoletta.

Intanto, qualcosa di quella truffa di Mazzacurati e altri (veri) gioelli che non vedrete mai.


LA PASSIONE di CARLO MAZZACURATI (IN CONCORSO)

Dunque. La passione inizia con un messaggio di segreteria da soggettista a regista in cui vengono elencati un paio di soggetti vaghi e incompleti; in pura meta-description questo è quel che è il film. Silvio Orlando segregato in un paese della Toscana. Par si voglia far verso agli sceneggiatori di Boris (quelli veri), ma traspaiono sono quelli di “Gli occhi del cuore”. Con tanto di Corrado Guzzanti ad interpretare un attor-cane.
Ora, non è questione di somiglianze e tentativi di velata emulazione fallimentari: La passione non sa nemmeno quello che sta dicendo, insiste sul nulla, rosicchia l’aria, è cinematograficamente assente (correzione: Mazzacurati pastafrolla), non ha un pizzico di credibilità – forse in base a qualche credenza produttiva.
Pistola alla testa. Giramento di palle.
Fin’ora il peggior film della Mostra: non ha nemmeno un’idea, nè trascinata nè inseguita. La passione è disonesto.
Viva la merda, quella buona, tipo quella dei fratelli Pang:


THE CHILD’S EYE 3D di OXIDE E DANNY PANG (FUORI CONCORSO)
Viva la merda, si scriveva, quella del cinema senza angosce che si butta a capofitto tanto da abburattare un qualsiasi cosa + ancora qualsiasi cosa e presentarlo incompleto a Venezia. Il cinema dei fratelli Pang solitamente infiamma anche quando sbilenco, incompleto, esagerato e seminespresso, tra canuomini e mondi paralleli fatti di cartapesta, le solite stronzate, i soliti colpi di genio. 


OVSYANKI (SILENT SOULS) di ALEKSEI FEDORCHENKO (IN CONCORSO)
Superato il disgusto d’(am)Mazzacurati, la strada è in discesa, tanto da riuscire a superare l’Ovsyanki spacciato per qua tortura fantozziana, là per piccolo gioiello, quando invece è solamente un cortometraggio dilatato e (ben) definito. Questo il suo pregio: stare culo e camicia col caro immaginario russo: due corpi nudi sbattuti lì, luoghi sconfinati, pseudoriflessioni, fotografia precisa, alla ricerca del rinvigorimento di una tradizione (quella marja), e Tarantino (che abbiamo scoperto farsi la tinta) che applaude, come sempre e come da dovere di capogiuria.


A LETTER TO ELIA di MARTIN SCORSESE E KENT JONES (FUORI CONCORSO)

Il film più romantico visto fin’ora al Lido: puro atto d’amore compresso – ce ne vorrebbero 5000 di minuti invece di 60 – da quattro punti cardinali del Cinema: (l’innamorarsi de)i film ((anche) senza sapere perchè)), i cinema, essere spettatori, essere registi, essere entrambi. Spicchio di diario cinefilo scorsesiano, senza amarezze nè edulcorazioni: occhio clinico (documentario) soprattraverso ciò che sono gli occhi (davanti allo schermo).


MEEK’S CUTOFF di KELLY REICHARDT (IN CONCORSO)
Un film la cui ragion d’essere è il formato con cui è stato girato: 4:3 aka inscatolamento, discostato dalla totalità del panavision 2.35, dall’onnipresenza versatile dell’1.85. Perchè nel deserto americano è facile cadere nell’ammicco panoramico, mentre qui i fantasmi (dell’osso della storia americana, dell’osso delle topiche western) protagonisti sono incatenati invisibilmente prima di tutto dal quadrato che li contiene, ch’elimina qualsiasi landscape esagerato e ogni possibilità di fuga: un film dell’orrore assolatissimo e senza sangue e senza alcuno strillo o gesto, immagini sempre aride e piene; lo strillo muto di spiriti narrativi – probabili fantasmi del Cinema stesso.

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