THE RAID: REDEMPTION di Gareth Evans

REGIA: Gareth Evans
SCENEGGIATURA: Gareth Evans
CAST: Iko Uwais, Joe Taslim, Donny Alamsyah, Yayan Ruhian
NAZIONALITÀ: Indonesia
ANNO: 2011
TITOLO ORIGINALE: Serbuan Maut

CONDOMINIUM

Parla indonesiano la risposta al carioca Tropa d’Elite e porta il nome di Serbuan Maut: concentrato di adrenalina e pensiero partorito dall’immaginazione action del (gran) britannico Gareth Evans. The Raid: Redemption genera curiosità a monte, interesse che ne anticipa addirittura la visione, in quanto prodotto made in Indonesia diretto da un regista di origini gallesi; a conti fatti due mete cinematografiche non proprio popolari; una strana coppia insomma, “di fatto” capace di dare alla luce una creatura meritevole di indiscutibile considerazione cinefila.

Una vecchia e non scritta regola della settima arte recita che lì dove non riesce l’intreccio, a fare la differenza provvede l’ambientazione, magari esotica come in questo caso e, quindi, ancor più intrigante. Né più né meno quello che avveniva nell’opera prima del verdeoro Josè Padilha alla quale, perlomeno in partenza, Serbuan Maut pare intenzionato a rifarsi. The Raid: Redemption, è bene dirlo subito, non inventa nulla, bensì gioca di prestigio con i suoi modelli d’ispirazione, miscelati con perizia tra i passaggi di una formula creativa si videoludica, ma dai riferimenti di assoluta qualità. Come già avvenuto nel marziale Merantau, Evans consegna il ruolo di principale protagonista a Iko Uwais, ma colloca il peso tutto della pellicola sulle robuste e architettoniche spalle del fatiscente casermone che fa da unica location alla vicenda: inespugnabile regno criminale da conquistare e ripulire, costi quel che costi. Al crescente livello di difficoltà rappresentato dal susseguirsi dei piani della struttura, si affianca l’immaginario cinematografico verso il quale quest’ultima sembra rimandare: sorta d’incrocio logistico-metaforico tra quanto già visto in La terra dei morti viventi e The Horde; il tutto sorvegliato da una vaga atmosfera carpenteriana.

L’organizzazione piramidale della lurida fortezza, rimanda trasversalmente a quanto mostrato da Romero nel quarto capitolo della saga dei morti viventi: ad un ultimo piano occupato dal dittatore padrone del traffico di stupefacenti, fanno da contro altare le scale sociali più basse, inquilini sotto la soglia di povertà mischiati a vagabondi e tossicodipendenti; tradotto manovalanza alla giornata, pronta a difendere il proprio tugurio, e di rimbalzo le stanze reali del gerarca, facendo muro, avversario e numero dinanzi la SWAT. Evans suggerisce l’allegoria, senza mai calcare la mano sul versante politico o sociale: l’obbiettivo difatti, è un altro, ovvero l’acrobatica esclation ritmata da un chitarristico sound industrial, che alle armi automatiche preferisce di gran lunga le coreografie del muay-thai da strada, a mani nude. “Vale tudo” in Serbuan Maut, compresi gli inevitabili raccordi slapstick, quasi ci si trovasse di fronte a degli squarci di un Old Boy sporco e cattivo, privato del letale martello ma picchiato duro sulle nocche ormai scorticate, trascinato, tra colpi scorretti e contusioni, negli angoli saturi di immondizia e calcinacci polverosi.

Quel che resta, sottotrama familiare e consueta corruzione delle forze dell’ordine comprese, è accademico volume, comunque necessario affinché il coniglio possa dirsi cilindrico e impedire al perpetuo moto dell’azione di trasformarsi, da marcia in più, nella conseguenza di un mero pretesto. The Raid: Redemption (col)lega i muscoli al cervello rivelandosi spettacolo appagante, la dimostrazione di come, nonostante l’arrivo del nuovo I Mercenari, ci sia ancora vita intelligente sul pianeta azione.

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