THE HORDE di Yannick Dahan e Benjamin Rocher

REGIA: Yannick Dahan e Benjamin Rocher
SCENEGGIATURA: Arnaud Bordas, Yannick Dahan
CAST: Eriq Ebouney, Jo Prestia, Jean-Pierre Martins
ANNO: 2009

GEEK PRIDE: BENTORNATA EXPLOITATION

Che fine ha fatto l’horror made in Italy? Chiedetelo ai francesi: l’unica generazione in grado di sfornare con cadenza annuale pellicole capaci di far tornare in mente gli anni ’80, epoca d’oro del genere in questione battente bandiera tricolore. C’è un filo sottile ma visibilissimo che lega l’esordio dietro la macchina da presa del duo Dahan-Rocher a precedenti episodi che rispondono al nome di Frontiers, Martyrs A l’interieur: la passione, sanguigna e viscerale, verso un determinato modo di fare, vedere e concepire cinema; moderno e sfrontato artigianato pulsante devozione nei confronti degli italici maestri, che tradisce infatuazione verso le nuove e consolidate tendenze di rappresentazione dell’orrore e un evidente occhio di riguardo nei confronti delle logiche di mercato. The Horde torna a battere il sentiero tracciato da Xavier Gens (qui nelle vesti di produttore) con Frontiers attraverso la (ri)codificazione delle Banlieue come presunta mappatura sociologica finalizzata a rivitalizzare il classico concetto di exploitation, traducendolo in tutta la sua onestà grammaticale: appropriazione e sfruttamento di luoghi e storie reali, al fine di utilizzarli come spunto di intrattenimento. Dahan Rocher si muovono con la sicurezza di chi ha studiato il Roger Corman pensiero, frullano topoi e archetipi senza mai dimenticare l’ironia di fondo e gettano in faccia allo spettatore un guanto di sfida che arriva, violento, direttamente dalla loro prospettiva, video ludica e (in)soggettiva. The Horde è un concentrato di tutto ciò che un appassionato di zombie movie possa desiderare, 90 minuti durante i quali i non morti assumono le sembianze di un innesto al doping tra gli infetti centometristi di 28 giorni dopo e la forza erculea dei giocatori di football americano, catapultati in un’ambientazione figlia della cultura geek; assi paralleli lungo i quali scorrono citazioni cinefile e omaggi partoriti da menti patite per la consolle (Left 4 DeadDead Rising e, naturalmente,Resident Evil). Hanno studiato Dahan Rocher, ma il loro approccio manieristico e finto nerd non è mai stucchevole, bensì calibrato, consapevole dell’equilibrio di generi e registri che alla lunga si trasforma nel punto di forza della loro opera prima. The Horde attacca come un gangster movie per trasformarsi in un horror duro e crudo appena il tempo dell’incipit, il fatiscente condominio perso nel buio ricorda il complesso popolare dalla densità portoricana di Zombi, mentre il precipizio della rampa di scale come prima via d’ingresso e unica speranza di fuga possibile non può non rimandare aRec. Richiami che occupano lo spazio di una citazione necessaria, poco più di una sequenza, perché The Horde si fa apprezzare solo ed esclusivamente per quello che è: un puro e semplice prodotto di intrattenimento, all’interno del quale non c’è spazio per approfondimenti politici o sottotrame sociologiche. Il fantasma di Romero è presente, ma non lo si scomoda più di tanto. Al suo posto trova divertimento e gloria un prodotto spaccone, sparatutto e frenetico tanto per regia quanto per montaggio. Uno sporco lavoro, portato a termine con coerenza e senza paura di insozzarsi le mani di sangue, che sulle pareti già luride e cadenti d’intonaco si riversa a fiotti. Pregi ma anche difetti di una pellicola comprensibilmente acerba proprio perché primitiva, che mostra il fianco in fase di scrittura: quattro mani, quelle degli sceneggiatori Bordas e Dahan, incapaci di sfruttare a dovere la trama interrazziale dei personaggi, figure elementari nella loro interazione buoni e cattivi, prima nemici e poi, giocoforza, alleati. Un’altra guancia sulla quale è giusto non infierire, soprattutto dal nostro piccolo pulpito patriottico. Panorama triste e grigio nonostante i suoi andati lustri di gloria, che si esalta perZampaglione ma non grida vendetta per il destino televisivo di un talento (sprecato) come Puglielli, aspetta invano che qualcuno si accorga di Bianchini e sembra non volersi accorgere che in Francia possono vantarsi di aver già sfornato un signor regista come Aja. Meditate gente, meditate.

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