visioni

THE LONE RANGER di Gore Verbinski

REGIA: Gore Verbinski
SCENEGGIATURA: Justin Haythe, Ted Elliott, Terry Rossio
CAST: Johnny Depp, Armie Hammer, Ruth Wilson, Tom Wikilson, Helena Bonam Carter
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2013

SU LA MASCHERA!
(PIRATI REBOOT: PIETRE DEL FUTURO, CONIGLI CANNIBALI E GAMBE D’AVORIO)

Esaurito (o semplicemente messo in stand-by) il franchise fruttifero dei Pirati made-in-Disneyland, e dopo la curiosa parentesi di Rango (diamante animato di e-motion capture metacinematografica), Verbinski riassolda (o meglio: viene riassoldato da) Depp che trapianta scatenato il suo ormai iconico personaggio-tipo (svanito pazzoide ipertruccato dagli oscuri trascorsi) in un’ambientazione western – campo d’azione già ben rodato grazie al camaleonte di cui sopra – e ricalcando in grassetto modalità e mood della saga precedente.

Stavolta, nessun cammeo onirico eastwoodiano né aperti rifacimenti di pellicole cult (per l’occasione in Rango si era riproposta nientepopodimeno che la struttura di Chinatown): The Lone Ranger ha le fattezze primarie del genere (colonizzatori vs pellerossa, l’orizzonte della frontiera, le miniere e gli inseguimenti lungo le ferrovie, giustizia e codici d’onore, la ricerca dell’oro/argento), ma assume la mimica stereoscopica portata dalla maschera jacksparrowiana nel suo istrionico falsetto (e nei suoi tic: se allora il filibustiere irrompeva in scena dall’albero di una nave in affondamento, qui passa tra un treno – impazzito e in corsa – e l’altro con una scala di fortuna): e dunque, eredita il character design dei Pirates of the Caribbean (c’è il cattivo sfregiato, lo scagnozzo en travesti, persino dei coniglietti maledetti), la linea da cartoon ipertrofico, il tono avventuroso/sbarazzino sempre e comunque family-friendly, e l’action tonitruante nei limiti però del bollino verde.

Dato che il troppo non basta mai, la durata è extralarge (140’, il nuovo canone dei blockbuster – e non – hollywoodiani – e non –) e lo svacco sopra le righe la parola d’ordine. Ma quello di allacciare le cinture è un intento dichiarato, l’enunciazione è smaccata fin dalla prima inquadratura: una ruota panoramica, un giro di risate in bilico sul vuoto mozzafiato, che tuttavia non rinuncia a squarci di ferite acute (la rievocazione del passato di Tonto al guerriero mascherato protagonista) e ad un sottofondo di soffusa nostalgia che si mischia alla malinconia per il vicino tramonto di un’epoca, un mondo, un sentore (non solo) narrativo (il capotribù dei Comanche va incontro alla guerra perché tanto, ormai, “siamo già tutti fantasmi”; soprattutto, le antiche vestigia del genere vengono ‘riesumate’ da un simulacro di cera, un reperto da museo o da parco d’attrazioni). E si concede una (plateale ma gradevole) strizzata d’occhio all’amore per il Cinema, spazio racchiuso nel buio di una stanza e oltre la luce di una teca, dietro la maschera dell’immaginazione, nella voce forse sognata forse no di un’anziana illusione: noi la nutriamo e lei ci canterà delle favole. A patto di crederle.

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