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Una forma per la memoria: HIROSHIMA MON AMOUR di Alain Resnais

hiroshima mon amour (1)

REGIA: Alain Resnais
CAST: Emmanuelle Riva, Eiji Okada, Stella Dassas
SCENEGGIATURA: Marguerite Duras
ANNO: 1959

Associato da molti alla nouvelle vague, o addirittura, a volte, inserito in essa, Resnais è certamente, dal punto di vista della ricerca formale, uno degli autori fondamentali del cinema moderno (al pari dello stesso Godard e di pochi altri), ma «la sua concezione della sceneggiatura e del decoupage, il costante ricorso ad autori-sceneggiatori [...], le sue riprese in studio, la sua direzione d’attori, la sua concezione della colonna audio fondata sullapostsincronizzazione lo allontanano dall’estetica “nouvelle vague”, quella che si esprime tanto chiaramente in Desideri nel sole di Jacques Rozier» (Michel Marie, La nouvelle vague, Parigi 1997, ediz. italiana Lindau, Torino 1998).
Seppure lo stesso Godard restasse perplesso di fronte alla crudezza di alcune carrellate di Hiroshima («Le carrellate sono questione di morale», «C’è una cosa che mi dà un po’ fastidio in Hiroshima [...]: c’è una certa facilità nel mostrare scene di orrore, perché si arriva in fretta aldilà dell’estetica». Tavola rotonda su Hiroshima mon amour di Alain Resnais, Cahiers du cinéma n.97, luglio 1959), proprio il regista franco-svizzero (sin da Fino all’ultimo respiro) sarà uno dei primi a recepire la lezione di Resnais sulla decostruzione del linguaggio classico, sul ritmo sincopato del montaggio, sull’accostamento discontinuo delle inquadrature.

Il posto in cui la protagonista si trovava durante la seconda guerra mondiale è una cittadina francese chiamata Nevers, nome non casualmente assonante – come fa notare Sergio Arecco in Alain Resnais, o la persistenza della memoria (Le Mani, Genova 1997) – con il vocabolo inglese “never”, mai; attraverso il linguaggio, la coordinata temporale si lega a quella spaziale, nella dimensione del ricordo. Anche il protagonista ha una storia che emerge dal flusso delle coscienze, tra le sofferenze del passato e i piaceri del presente. Cosa significa ricordare, di fronte a un presente così bello? All’impresa che già sembra insensata, quella di girare un film in una città segnata da un evento (ancora vicino) che somiglia all’apocalisse (riecheggiata tra l’altro nell’espedientemetafilmico del film nel film), Resnais aggiunge la sua complessa riflessione sulla memoria, sull’instabilità della relazione tra identità e memoria, tra passato e presente (e futuro), tra dimensione sociale e dimensione individuale, attraverso l’intimità, il sentimento, i corpi, il piacere, l’amore, la vita.
Quello che Resnais comincia a modellare con Hiroshima (e porterà a compimento con il suo vero capolavoro, L’anno scorso a Marienbad), è un nuovo modello formale che scompone il tempo filmico per ricomporne uno nuovo seguendo la tortuosa discontinuità e il soggettivo flusso cronologico della memoria. 
Hiroshima mon amour mostra, ancora più forte che in Notte e nebbia, una libertà espressiva che ricorre a strumenti letterari, confondendo in continuazione piani e tempi. Il pensiero che attraverso la voce over accompagna le immagini documentaristiche del primo quarto d’ora del film affronta elementi, idee che si intersecano in maniera caotica proprio come avviene all’interno della mente, e la ricerca di Resnais consiste nel cercare di rendere cinematografico tutto ciò, tutto il flusso di pensieri e di ricordi che attraversano la mente umana. Seguendo la strada e gli insegnamenti di EjzenstejnResnais sfrutta i princìpi del montaggio delle attrazioni per arrivare alla creazione di una nuova unità di forma («Ma attenzione – avverte Jacques Rivette, nella stessa tavola rotonda già citata – questa unità non è più quella della sequenza classica: è un’unità di contrasti, un’unità dialettica») raggiunta partendo dalla frammentazione (secondo Rohmer, in questo senso Resnais può essere considerato un cubista, “il primo cineasta moderno del cinema sonoro”), dall’accostamento dei contrari, messi insieme da uno stesso espediente linguistico – uno stesso movimento di macchina, o la stessa posizione nel quadro di un personaggio o di un elemento.
Così il film è tutto giocato sull’annullamento tra Hiroshima e Nevers, qualunque cosa questi due nomi stiano ad indicare. Che siano due città, geograficamente, culturalmente, demograficamente, socialmente e tipologicamente lontane; che siano due modi diversi di aver vissuto un evento dalla portata storica devastante quanto quella umanitaria e umana; che siano i nomi di due persone che si amano per due giorni senza conoscersi, e sapendo che non si rivedranno mai più; che siano il giorno e la notte, la pace e la guerra, l’amore e la morte; che siano due diverse storie d’amore, che siano due diverse facce dell’amore, che siano due diversi modi di vivere l’amore.
Come accadrà anche nel Marienbad, la macchina da presa si abbandona al labirinto della mente umana e delle emozioni, rincorre gli arabeschi disegnati dai destini di due protagonisti, che vivono una storia in cui si intrecciano la persuasione e la memoria (lo stesso Alain Robbe-Grillet, romanziere francese delnouveau roman e poi cineasta, sceneggiatore di L’anno scorso a Marienbad, ha spesso affermato che mentre lui ha scritto una sceneggiatura che parlasse di persuasione, Resnais ne ha fatto un film che parla di memoria), in maniera talmente intensa da influenzarsi e adattarsi a vicenda. Il ricordo (e il flashback) della storia col soldato tedesco spinge la protagonista a vivere intensamente i due giorni ad Hiroshima, la città del ricordo, e di riflesso spinge l’uomo, l’uomo del ricordo, a fare di tutto per convincere la donna a restare, per persuaderla a vivere l’amore del ricordo, e non il ricordo dell’amore.

E se il loro amore vive di ricordo e di memoria, di ricordi e di memorie, è la memoria stessa a cementarlo e renderlo forte. Resnais ce lo spiega attraverso il primo splendido quarto d’ora del film: la memoria della guerra e di quello che è successo ad Hiroshima incombe sui due amanti, al punto che la schiena dell’uomo potrebbe benissimo essere coperta di cenere atomica, e opprimendoli li unisce, li avvicina. Quanto più le diapositive degli orrori atomici ci scorrono davanti, tanto più, nelle brevi immagini del loro amore, i due protagonisti ci sembrano vicini, avvinghiati, stretti nel loro amore più forte della guerra e della bomba, nella loro vita che è più viva di un passato sepolto sotto kilowatt di terra, cenere, macerie, polvere.
E vite, migliaia di vite che devono vivere nella memoria, a fianco dell’amore, per non dimenticare.

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