C(o)unt to Zero Dark Thirty: THE HURT LOCKER di Kathryn Bigelow

REGIA: Kathryn Bigelow
SCENEGGIATURA:  Mark Boal
CAST: Ralph Fiennes, Guy Pearce, David Morse, Jeremy Renner, Anthony Mackie
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2008

“PER RENDERSI INVINCIBILI, BISOGNA PRIMA CONOSCERE SE STESSI”.
L’ARTE DELLA GUERRA, GENERALE SUNZI.

Aridi cicloni di vento si abbattono nelle retrograde terre dell’est modificandone voracemente l’assetto. Strade impervie, case accroccate, città sovrappopolate non sono altro che lo sfondo su cui si consumano, mestamente, le esistenze di esseri umani trattati come molle di tecnologici ordigni esplosivi. Con il passo pesante, il respiro affannato e gli occhi colmi di disperazione, milioni di automi compiono rituali imposti dalla società, una Metropolis poco tecnologica ma molto pericolosa. Neanche un gruppo di artificieri americani, arrivati a Baghdad per cercare di disinnescare gli ordigni esplosivi disseminati dai guerriglieri per le strade, riesce a fermare la loro quotidiana lotta per la sopravvivenza. Un turbinio di sensazioni differenti in bilico tra paura e fascinazione, tra malinconia e pietà, tra terrore ed eccitazione circonda i personaggi della storia, la regista, gli spettatori stessi.
Il cuore palpitante di The Hurt Locker coincide perfettamente con quello dei protagonisti, vi si sovrappone, ne condivide i battiti. Le soggettive acustiche, le visuali distorte, le ansie e le paure di ogni uomo coinvolto nel gioco della guerra, vengono snocciolate una dopo l’altra lungo la durata della pellicola, portate a galla, analizzate (ir)razionalmente fotogramma dopo fotogramma. The Hurt Locker, dunque, diviene egli stesso personaggio, personificazione, metafora di esistenze spezzate, di vite sospese e di affetti abbandonati. I fantasmi che si aggirano per le polverose strade di Baghdad o che infestano riscaldate villette americane, infatti, non hanno (più) sogni, né ideali, né valori. Con le anime lacerate e i corpi lividi, come tanti Frankenstein(s) ripudiati che bramano l’attenzione del loro demiurgo, cercano titubanti il pericolo, lo affrontano, lo domano e scoprono di essere vivi soltanto incontrandosi/scontrandosi prima con se stessi e poi con gli altri.
In una vera e propria caccia all’uomo, nella sfida contro il destino, nella battaglia contro la morte, allora, l’adrenalina diviene la droga necessaria per raccogliere i pezzi del passato e dare, finalmente, un senso alla vita. Ma se “essere quello che si può, equivale a essere un cadavere sul ciglio della strada”, allora, la guerra si rivela un gioco di pedine, un mestiere qualunque, nient’altro che un’arte perversa.

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