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Goodbye yellow brick road: AMERICAN HUSTLE – L’APPARENZA INGANNA di David O. Russell

american hustle (3)

REGIA: David O. Russell
SCENEGGIATURA: David O. Russell, Eric Warren Singer
CAST: Christian Bale, Bradley Cooper, Amy Adams, Jeremy Renner, Jennifer Lawrence
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2013

David O. Russell con American Hustle racconta l’arte della sopravvivenza al tramonto degli anni Settanta: sulle tracce della reale operazione Abscam, ordita dall’FBI grazie alla collaborazione di un imbroglione allo scopo di incastrare politici corrotti, il film è il ritratto di un’epoca ancora innocente filtrata però da memorie, racconti e vissuto del regista e della sua famiglia. I personaggi, macchiette apparentemente prive di umanità e debolezze e sostenute da make up e travestimenti sempre sopra le righe, rappresentano l’impietosa galleria di quella che potrebbe essere definita, senza timori di sorta, la commedia umana. Esseri sconfitti, adorabili perdenti pronti a prendersi una rivincita nei confronti di un destino avverso; uomini e donne fragili e patetici ma anche scaltri e intrepidi disposti a tutto pur di reinventarsi fresche e vincenti identità. Il cineasta newyorchese allestisce una grande magia, quella dell’illusione e del raggiro ai danni dello spettatore il quale a fine visione si troverà smarrito, visto la straordinaria gamma di ritratti e sfumature incarnate da ogni maschera in gioco. Così il confine tra bene e male appare labilissimo, tra il genio della truffa che vola basso e non aspira mai alle grandi altezze per via delle vertigini, la seducente socia in affari capace di sfoderare, a seconda delle occasioni, accenti e scollature da urlo, il ridicolo e ambiziosissimo federale in corsa verso la fama e il successo, la gattina sul tetto che scotta condannata a scompaginare le trame dell’astuto piano e il sindaco dal cuore d’oro tutta patria e famiglia. La macchina da presa nervosa e al limite dell’isteria fotografa un periodo dove si alternano ellissi temporali, flashback e voci off, oltre a costumi, acconciature e scenografie talmente eccessive e barocche da apparire spesso specchietti per le allodole rispetto alle contrastanti emozioni, particelle elementari del tutto. Tra baci, bugie, bambole e bastardi si annidano gli inganni e le menzogne di un gruppo di persone costantemente alle corde: da chi sogna una vita da soap a chi fiuta la gloria e il successo per affrancarsi da un presente grigio a chi del raggiro ne ha fatto un mestiere a chi invece ha imparato a mentire su tutto. Il direttore della fotografia Linus Sandrgren di concerto con Russell adotta la scelta di creare una composizione piuttosto classica dove come colori primari spiccano l’oro, il blu, il bianco e il bordeaux, con luci provenienti dalle finestre. Dopo The Fighter e Il lato positivo Russell chiude la sua ideale trilogia su un’umanità allo sbando costretta a rinascere dalle proprie ceneri e la formula perfetta è sempre la stessa: emozione, movimento di macchina e musica. American Hustle non esisterebbe però senza il suo cast spumeggiante, a cominciare da due autentici trasformisti quali Christian Bale e Jennifer Lawrence. Il primo archiviata la pratica Gotham segue la linea dura e per interpretare Irving Roasenfeld ingrassa ben venti chili, assume un postura gobba inforcando occhialoni dalla montatura dorata; di contro la non più incasellabile ragazza di fuoco di Capitol City frigna per poi improvvisamente divampare come la migliore Sharon Stone di Scorsese. Chiudono il cerchio una Amy Adams mai così sexy e sempre più convincente, Bradley Cooper quasi catapultato da una discoteca a nome Tony Manero e un goffissimo Jeremy Renner. Il cinema di questo singolare autore non più un oggetto non identificato, un ibrido irrisolto, un coacervo di nervi e frustrazioni represse (dai tempi di Spanking the Monkey e le mani addosso a George Clooney, ora star delle star, ne è passata di acqua sotto i ponti) continua a mietere successi di critica e pubblico (le candidature a miglior film, regia e sceneggiatura originale parlano chiaro) e furbo non furbo, le chiacchiere stanno a zero, ora il ritrovato filmmaker statunitense può essere inserito nell’Olimpo dei grandi di Hollywood.

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