THE BUTTERFLY ROOM – LA STANZA DELLE FARFALLE di Jonathan Zarantonello

REGIA: Jonathan Zarantonello
SCENEGGIATURA: Jonathan Zarantonello, Luigi Sardiello, Paolo Guerrieri
CAST: Barbara Steele, Ray Wise, Erica Leerhsen
ANNO: 2012
NAZIONALITA’: Italia, USA
USCITA: 6 Giugno 2013 

IL MALE IMBALSAMATO : “Gli animali sono per chi non ha coraggio di avere bambini”

Ann istruisce Julie su come imbalsamare le farfalle dentro le cornici, esattamente come lo ha insegnato ad Alice. Un rito che si consolida come una liturgia sacrale, misteriosa e arcana, con all’interno qualcosa di intimo e di inviolabile, in grado di instaurare un legame profondo tra le donne che vi prendono parte e che la condividono. Ann è altera ed austera, elegantissima e schiva. Ad incarnarla una Barbara Steele che non può suscitare un coccolone nostalgico da fitta al cuore: ritrovarla oggi dopo anni e anni di assenza, icona indimenticata dissotterrata dopo un ventennio, è gioia archeologica non da poco, che focalizza tutta l’attenzione senza per questo fagocitare del tutto il film. Certo, The Butterfly Room – La stanza delle farfalle è tutto imperniato su di lei, sulla sua fisicità da diva gotica appassita ma non estinta, ma non per questo si esime dal presentare dei motivi di interesse assolutamente autonomi. Il fascino epocale dell’attrice de La maschera del demonio, Il pozzo e il pendolo e I lunghi capelli della morte funge piuttosto da traino per un racconto tesissimo tutto al femminile con nette virate nell’horror, un film fondato sull’assenza e sul timore della mancanza, su madri distanti e mai presenti che generano rancori profondi e alimentano tensioni covate maleficamente, che a lungo andare non possono fare a meno di esplodere. Ispirato ad Alice dalle 4 alle 5, titolo sia di un racconto che di un cortometraggio dello stesso regista interpretato da Piera degli Esposti, il film di Jonathan Zarantonello riprende certe acredini votate all’acido muriatico di un titolo storico e indimenticato come Che fine ha fatto Baby Jane? e ne instaura il gelo atmosferico su un tessuto di base diverso, più composto e dal sicuro impatto, privo di parabole arrischiate. La Steele passeggia su queste solide basi con classe sconfinata, inarrivabile con la sua grazia inquietante e la sua  sensualità dark, con le labbra un tempo carnose cerchiate di rosso e le storiche sopracciglia inarcate in una smorfia espressionista, a metà tra una maschera de La famiglia Addams e Vampira. La componente matriarcale della storia può così prendere il largo in un inarrestabile crescendo di atti turpi orrori ora accennati e taciuti ora più manifesti e disturbanti (si veda la scena legata all’ascensore…). Una discesa agli inferi d’impronta assolutamente classica conduce il film di Zarantonello verso la simmetrica immersione negli spettri interiori della protagonista, andando così ben oltre il sulfureo atto d’amore per il corpo della Steele. I meccanismi ansiogeni appaiono decisamente rodati anche se senza mai regalare sussurri impressionanti, memorabili o tantomeno irripetibili. A saltare all’occhio è semmai la smaliziata e solida maestria di cui si fa forte Zarantonello, che serve alle grande, coi suoi movimenti di macchina e con la gestione millimetrica dello spazio, l’ottimo tappeto sonoro di Pivio e Aldo De Scalzi, elargendo moti e sprazzi registici che rimandano alla migliore scuola argentiana. Lo psicologismo è appena accennato senza inabissarsi in ambizioni più grandi delle reali possibilità di cui si dispone: nonostante alcune scene di forte vicinanza fisica ed emotiva, si punta saggiamente sulla dimensione del giallo a tinte macabre, quel genere di film che gli americani bollano onomatopeicamente come yellowssss riferendosi soprattutto a una florida tradizione di genere in Italia tutt’altro che lontanissima nel tempo (la datazione è nota e presto detta).

The Butterfly Room è dunque un film complessivamente raffinato e seducente, sfizioso e deferente, “livido e sprofondato per sua stessa mano” in un corredo sterminato di volti cult che danno luogo a una parata citazionista dal sapore di reunion non banale ma piuttosto funzionale, specchio di una coerente e concisa idea di cinema: c’è il Ray Wise della serie televisiva I segreti di Twin peaks, la Erica Leerhsen di Wrong turn 2 – Senza via di uscita e ancora la Adrienne King dei primi due Venerdì 13, la Camille Keaton di Non violentate Jennifer e per finire la P.J. Soles strangolata da Michael Myers in Halloween – La notte delle streghe. C’è perfino Joe Dante, al culmine dei camei e delle apparizioni da sollucchero cinefilo. Tra vasche cronenberghiane e rivoli di sangue richiamanti alla memoria quei demoni sotto la pelle che il film sotterraneamente insinua, riuscendo per di più a farli anche sedimentare con più che discreta efficacia, The Butterfly Room sa giocare sul suo essere esangue senza mai risultare anemico, immobilizzandosi più volte come farfalle infilzate da degli spilloni ma senza mai degenerare nella stasi immobilizzata e controproducente. Può bastare, e di fatto basta eccome. 

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