in sala

I (4)7 (ex)samurai: 47 RONIN di Carl Rinsch

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REGIA: Carl Rinsch
SCENEGGIATURA: Chris Morgan, Hossein Amini
CAST: Keanu Reeves, Hiroyuki Sanada, Ko Shibasaki, Rinko Kikuchi
ANNO:  2013

A seguito di un lungo periodo di gestazione, fatto di indecisioni e ripensamenti, flemma produttiva e fatiche distributive, ha finalmente visto le luci della sala 47 Ronin diretto dall’esordiente regista inglese Carl Rinsch. Il film è liberamente ispirato all’impresa eroica dei famigerati 47 samurai che, rimasti senza padrone (quindi divenuti rōnin), decisero di vendicarne l’onore secondo i precetti del bushidō, andando però in barba al volere del potente shōgun. Ad animare la vicenda, e non solo sul piano dell’intreccio, intervengono alcune apprezzabili licenze. Intanto la presenza di un ronin di fantasia, l’affascinante e meticcio – quindi discriminato – Kai (Keanu Reeves), con la sua solita interpretazione schiva e fantasmatica che, qui, costituisce un valore aggiunto. In secondo luogo l’introduzione dell’elemento fantastico attraverso un uso moderato e sapiente del CGI che, per quanto distante dal fatto storico, tende ad avvicinare il pubblico all’interpretazione mitica che, della vicenda, offre il folklore giapponese. Paradossalmente, infatti, la narrazione degli avvenimenti non risulta intaccata e banalizzata dall’inserimento di streghe, demoni e creature soprannaturali, ma gode di un’epicità mitologica suggestiva mentre sceglie di mantenere un rigore classico nella trattazione del dramma storico, come se questi restassero in qualche modo slegati. L’impianto narrativo è asciutto ma poetico, teatrale eppure trionfale. La gestualità delle azioni quotidiane e di routine, così come quella legata ai combattimenti e alle abilità straordinarie, viene accompagnata e sottolineata dalla macchina da presa come fosse un occhio rapito da una rappresentazione kabuki, tanto che anche un rito atroce come quello del seppuku (suicidio d’onore e decapitazione) acquista una dimensione soave e suggestiva. Il dramma è raccontato in maniera agile e precisa, prestando particolare attenzione alla complessità dei problemi morali e psicologici dei personaggi, una tendenza narrativa tipicamente britannica ereditata dagli illustri drammaturghi. Ed è proprio a William Shakespeare che pare ispirarsi il regista nella costruzione scenica dei dialoghi e dei combattimenti, che svelano un’eloquenza che va ben oltre lo scambio verbale, in cui i giochi di sguardi e movimenti e il lavoro sui raccordi appaiono particolarmente espressivi.
47 Ronin è, a tutti gli effetti, un jidai geki in cui fantasia e storia convergono per offrire la rilettura mitica di una vicenda che non parla solo di conflitti politici ed economici, ma anche e soprattutto di conflitti etici e spirituali, in cui la realtà sembra più il frutto di illusioni, di credenze, che di pura fisica, capaci di trasfigurare il senso della giustizia e dell’iniquità, della volontà e del fato. In virtù della sua semplicità e solidità narrativa, delle allusioni shakespeariane, ma anche delle sue vivaci e maestose scenografie, il richiamo allo stile di un regista come Akira Kurosawa appare evidente, richiamo che forse si può anche ritrovare in quella felice scelta che vede il protagonista incarnare due mondi, quello orientale e quello occidentale, che il cinema del maestro giapponese ha avuto il merito di ridisegnare nei confini rappresentativi, descrivendo giustizie, sia umane sia divine, tanto fallimentari quanto necessarie.
47 Ronin è quindi un bel film, capace di assemblare con gusto e intelligenza le figure e i temi di culture diverse e distanti, raccontando una storia di ieri, percepita con gli occhi di oggi e forse anche con la nostalgia di domani…

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