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THE GRANDMASTER di Wong Kar-wai

Pubblicato originariamente il 6 maggio 2013

REGIA: Wong Kar Wai
SCENEGGIATURA: Wong Kar-Wai, Zou Jing-Zi, Xu Haofeng
CAST: Tony Leung Chiu-Wai, Zhang Ziyi, Chang Chen, Zhao Ben-Shan, Xiao Shen-Yang, Song Hye-Kyo, Wong Hing-Cheung, John Zhang Jin, Shang Tie-Long
NAZIONALITÀ: Cina
ANNO: 2013 

DUELLI DI SOLITUDINI, MAGISTRALI

Sai perché ogni spada ha un fodero che la custodisce?
Perché il vero scopo di una spada non è uccidere, ma rimanere celata.
(Mastro Gong Yu-Tian all’allievo Ma San)
 

Ne è passata di acqua sotto i ponti, da quando un venerabile maestro del cinema mondiale, Akira Kurosawa, metteva sulle labbra del suo protagonista, il Sanjuro di Toshiro Mifune, la lapidaria sentenza “le spade migliori restano nel fodero”, una destrutturazione ante litteram del genere, che ancora doveva costruirsi e farsi conoscere e già veniva sconfessato nei suoi intenti collidenti con la materia che avrebbe dovuto animarlo: mostrare ciò che non va mostrato, ovvero lo spirito delle arti marziali. Di maestro in maestro, dai ’60 agli ’80, abbiamo visto aggiungersi anche Patrick Tam, a declinare il tramonto dell’epica marziale nel suo The Sword, un film in cui la questione filosofica è ridotta all’osso nello schietto motteggio che recita: “uomo di spada è colui che sa maneggiare una lama”. Per Tam i guerrieri erranti, gli artisti marziali, sono prima di tutto persone, né eroi né dei del combattimento, e Wong Kar Wai, che di Tam è uno degli allievi più intelligenti e quasi-ortodossi, da quell’ispirazione ha prese le mosse per Ashes of Time, capolavoro in cui collassa il cinema wuxia degli anni ’90. Quel film è un canto del cigno che già nel 1994 mostrava quale sarebbe stata la strada in cui Wong si sarebbe nuovamente avventurato, quando fosse stato di fronte alle arti marziali, al loro mondo e alla loro filosofia, giungendo a The Grandmaster.

The Grandmaster, atteso per anni e covato con gelosia e affetto da Wong, non poteva infatti che nascere da quel rivolo del genere, da quelle premesse eterodosse e distruttivo-corrosive, da quell’approccio umanista e minimo che lo spettatore di arti marziali, tra un duello visionato su youtube, la degenerazione mediatica dei contest MMA e la pelosa nostalgia dei film di mazzate “di una volta”, è abituato a sospettare e tranquillo tacciare di lesa maestà.

Lesa maestà soprattutto nei confronti delle aspettative biografiche del fenomeno cinematografico Ip Man, capostipite notissimo dello stile Wing Chun, al quale negli ultimi 5 anni sono stati dedicati 5 film e una serie TV, tra Cina e Hong Kong, in inflazione. Ma The Grandmaster è più che altro una biografia idealizzata, una biografia collettiva più che personale, che racconta un mondo di artisti marziali alle prese con un tumulto che è sia interiore che esteriore, nella quale il nome del protagonista, Ip Man, e il suo stile, il Wing Chun, passano in secondo piano, personaggi ma non protagonisti.

Le atmosfere del racconto sono quelle sofisticate, sospese nel tempo e nello spazio del regista di Hong Kong, del suo passato. L’ancora storica stavolta, insieme alle esigenze produttive, non permette al film di veleggiare nel meta-fisico, un po’ sospeso un po’ fluttuante, come in altri grandi film di Wong Kar Wai, ma quei personaggi appesi alle loro parole e al loro onore, quel tessuto di fili del destino che sono gabbia più che sostegno e coperta ci sono, intatti nel loro fascino, mutatis mutandis. La sceneggiatura piuttosto verbosa e quasi parolaia per gli standard di Wong – eredità di quello Xu Haofeng tanto competente quanto incapace di sintesi, che almeno stavolta, a differenza dei suoi esordi cinematografici recenti (vedasi The Sword Identity), non ha possibilità di far ulteriore danno non essendo dietro la macchina da presa – rischia di affossare la leggerezza del castello di carte, ma per fortuna (miracolo? stile che redime la parola superflua?) non ci riesce. Il castello di personaggi regge, e si regge su scene di grosso impatto, tra le quali (forse) a sorpresa molte sono scene di combattimento: finissime, stilizzate, monumentali quasi. Alla fine siamo ancora e sempre di fronte a un’immersione nel sottobosco delle arti marziali che tenta di parlare di persone e dei soliti amori asimmetrici del nostro occhialuto beniamino, e nonostante qualche caduta di ritmo e un discreto massacro di montaggio della storia, il bersaglio è centrato. Un film di e su le arti marziali, assemblato e approcciato alla maniera di Wong Kar Wai, di un Wong Kar Wai sempre riconoscibile ma anche per certi versi nuovo di zecca, nostalgico ma anche spettacolare, intimista eppure anche politico.

Visivamente e tecnicamente è sempre superbo, ma di questo trovo inutile anche parlare. Il nome del regista, la sua carriera, lo sottintendono già. The Grandmaster conferma, ma il cuore sta altrove.

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