L’UOMO D’ACCIAIO di Zack Snyder

REGIA: Zack Snyder
SCENEGGIATURA: David S. Goyer, Zack Snyder, Kurt Johnstad
CAST: Henry Cavill, Amy Adams, Russell Crowe, Kevin Costner, Diane Lane, Michael Shannon
NAZIONALI: USA
ANNO: 2013
TITOLO ORIGINALE: Man of Steel

SUPERMAN Z

Con Tarantino, e ultimamente con Refn, diventano tutti formalisti: con i cinecomic diventano tutti registi, sceneggiatori, autori. Dal fandom agli oggetto-in-questione-minkia, dai passanti che sanno quelle quattro cose basilari a chi pensa di saperle. Requisito essenziale è: essere al mondo. Senza contare il fattore Nolan, del quale sono tutti esegeti. Ognuno con il proprio equalizzatore: c’è troppo di questo, troppo poco di questo, quest’altro è ok, più dialogo qui, meno lentezza qui, più azione, meno azione; come se un film come L’uomo d’acciaio fosse appositamente mediato e reso mediocre (se non addirittura sbagliato in determinati punti) per far sì che ciò avvenga. Calcio, politica, Refn e cinecomic. Il pop e la sua squisitezza.

Affermiamo chiaramente: non discriminiamo nessun tipo di Superman, che come mitologia deve essere sempre pronto ad essere sovvertito. Aumenta, inevitabile, col tempo, lo spessore di quello di Richard Donner, quello di Bryan Singer meditabondo all’eccesso, questo di Zack Snyder d’acciaio a partire dalla mascella. L’influsso di Christopher Nolan in soggetto e produzione è prepotente (senza contare (se conta) l’effetto che può esserci dall’avere due coppie di coniugi in produzione/regia), e riecheggia il modello del Cavaliere Oscuro: erano film d’azione/polizieschi intersecati con un eroe incrinato, sporco, cupo, ambivalente, spezzato, dalle debolezze nere; adesso un disaster movie con un altro indesiderato destino del tutto privo d’ironia, con tutta la deriva che dei poteri sovrannaturali possono costituire: se i difetti degli ultimi Batman potevano essere sovrastati, se non annientati, dal ritmo e dalle tempistiche compressissime dal principio alla fine, L’uomo d’acciaio è talmente scarno di eventi e lo stile di Snyder (seppur ampiamente mutato, se non ribaltato, anche rispetto solo a Sucker Punch) così poco riempitivo che le falle, sistematiche e di sistema, schiacciano al suolo ogni volta che si presentano.
Così un intreccio subnormale si trascina dietro un’introduzione di più di mezz’ora per il lancio del tacchino grasso, reiterando lo stesso concetto (sempre il fattore Nolan?) riaffiorando qua e là come flashback o come Russell Crowe; diventando l’unico punto di riferimento nel caos generale, dove la Terra diventa semplicemente l’arena dello scontro tra alieni antropomorfi, ed ogni confronto è legato al successivo da una manciata di dialoghi, tra barocchismi gigeriani e panorami desertici che ricordano l’Hulk di Ang Lee, mentre sembra di vedere in carne, 3d e cgi una manciata di puntate di Dragonball Z: non ci sono i cazzilli miliardari di Bruce Wayne, ma solo superpoteri, e quindi esplosioni e devastazioni a strafottere. E «Esplosioni e devastazioni a strafottere» andrebbe anche bene (e, slegate dal resto, vanno tremendamente bene) se il «per venire incontro alle vostre capacità mentali» blockbusteriano non stesse anche qui fedele al suo basilare eccesso: il pensiero da una parte, i fuochi d’artificio dall’altra (che in realtà sono pensiero d’artificio e fuoco (naturale (cinematografico))), cosicché, dopo che decine di palazzi sono stati rasi al suolo, [SPOILER] l’eroe riesce ad incazzarsi solo quando vede una famigliola in punto di morte sotto il tiro degli occhi laser di Zod. [/SPOILER]La coerenza e la continuità non sono di questo cinema, fatto di caselle e compartimenti stagni; solo con gli Spider-Man di Sam Raimi e con l’Hulk di Ang Lee il miracolo sul mito era avvenuto, una decina d’anni fa, ripetendosi, e superandosi, in super(hero) movie altri, come Chronicle di Josh Trank.
E mentre Superman rimane uno sconosciuto del tutto antinerd e pure abbastanza stronzo (come il Peter Parker di Marc Webb) attraverso uno script umiliante per lo spettatore, a stupire è Snyder, mentre spreme fino all’ultimo secondo disponibile tutta l’azione possibile, riscrivendo i propri canoni, privo oltretutto di tutte quelle cose “alla Snyder”, variando colluttazioni, scenari, impronte, violenza, di continuo, spezzando quella distanza che troppo spesso deriva dall’assimilazione videoludica, facendone Spettacolo e Azione maiuscoli. Ma bastano?

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