CHRONICLE di Josh Trank

REGIA: Josh Trank
SCENEGGIATURA: Max Landis

CAST: Dane DeHaan, Michael B. Jordan, Alex Russell, Michael Kelly
NAZIONALITÀ: USA, UK
ANNO: 2012
USCITA:  9 maggio 2012

È UN UCCELLO? È UN AEREO?

Stan Lee diceva che da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Platone invece, nella Repubblica, affermava che se un uomo, anche retto, acquisisse il potere dell’invisibilità «gli sarebbe possibile prendere impunemente ciò che vuole nel mercato, entrare nelle case e unirsi [non certo in senso platonico!] con chiunque voglia, e uccidere o sciogliere dalle catene tutti quelli che vuole, e fare tutto il resto come se fosse, tra gli uomini, eguale a un dio». Chronicle si pone in una posizione intermedia tra queste due concezioni. E lo fa attraverso una lucida decostruzione e reinvenzione del genere supereroistico, proprio in un momento in cui sta attraversando la sua fase d’oro al cinema, facendo tabula rasa di tutti i vendicatori in calzamaglia e affini.

I tre protagonisti del film sono ragazzi di college che si trovano improvvisamente dotati di poteri telecinetici, dopo essere entrati in una misteriosa grotta. Un inizio classico, da numero 1 di un albo Marvel o DC. Ma in Chronicle non c’è bisogno di dare una spiegazione fantascientifica, anche posticcia, a quelle origini. Una caverna che è stata la base degli alieni? O l’ingresso a un tunnel temporale? Chissene frega! La grotta è il classico MacGuffin hitchcockiano, un puro e semplice espediente narrativo, palesato come tale.

Cosa possono fare dei ragazzi di college con grandi poteri? Seguire Stan Lee o Platone? Inizialmente nulla di tutto ciò e li usano solo per divertirsi, per provare l’ebbrezza di nuove esperienze, rigorosamente senza calzamaglia. Naturalmente si rendono conto dei pericoli insiti in tali facoltà, se mal utilizzate, e si danno quindi un rudimentale codice deontologico: non usare quei poteri sugli esseri umani. Ma quelle facoltà soprannaturali non bastano ai loro detentori per farli diventare dei veri superuomini. Quando salvano il conducente che sta annegando lo fanno semplicemente a nuoto. E i superpoteri non impediscono che gli venga il sangue al naso o il vomito. E soprattutto non possono evitare la morte della madre di uno dei loro. Tutti elementi nella logica di realismo che porta avanti il film, che tocca l’apice quando mostra i ragazzi volare ad alta quota indossando giubbotti e giacche a vento: un costumino come quello di Superman non li proteggerebbe certo dal freddo. Il film gioca così sullo spingere al massimo la sospensione dell’incredulità, in una dimensione agli antipodi di quella fumettistica dei film di genere supereroistico.

La grande capacità del regista Josh Trank è quella di riuscire a camuffare un film ad alto budget in uno fatto con due lire, tra Cloverfield e The Blair Witch Project. E in questo senso è funzionale il discorso della ripresa interna: tutte le inquadrature (o quasi?) appaiono come ottenute da varie telecamere “diegetiche”. Il discorso alla fine stanca un po’ e non è nemmeno originale, da Cannibal Holocaust in poi. Ma forse è funzionale a una par condicio di product placamento. Sony, Canon: ci sono proprio tutte.

Dove scade il film è quando sposa, parzialmente, le tesi di Platone. I superpoteri portano alla malvagità non i ragazzi spensierati e benestanti ma il personaggio disadattato, che ce le ha tutte, ma proprio tutte: la madre malata terminale e il padre violento. Qui si scade nello schematismo facile, nello psicologismo d’accatto, da Bignami della psicoanalisi. Unico neo per un’opera complessivamente molto interessante.

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