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UN ANNO (O GIÙ DI LÌ) VISSUTO SERIALMENTE – 2° PARTE

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Da una prospettiva più ampia, si può dire che negli States la cosiddetta quality TV sia sempre più un sottogenere di successo, amata dal pubblico più danaroso ed esigente e capace di diventare di culto e dare un’immagine scintillante a chi la trasmette. Il che comporta però anche una certa standardizzazione e la ricerca dei primi anni di HBO sembra ormai lontana, tanto che, come già detto, le migliori serie emergenti sono altrove.
La principale novità di questa stagione è stata l’entrata nell’agone seriale di diversi canali come il già citato Sundance Channel, ma soprattutto come la piattaforma di Netflix, che nemmeno è una rete Tv nel senso tradizionale. Le sue due serie originali, cui si aggiunge il rilancio di un cult cessato diversi anni fa sui network come Arrested Development, hanno fatto molto parlare di una nuova era televisiva. In realtà però né House of CardsHemlock Grove si discostano molto dal fomato delle cable Tv, a parte per una durata degli episodi un poco più variabile. Soprattutto, queste serie si segnalano per un livello produttivo davvero lussuoso e anche piuttosto esibito. Nonostante i nomi coinvolti, da Fincher a Eli Roth, nessuna delle due risulta davvero innovativa: la prima è il remake di un cult inglese e la seconda si muove, con pochi ma intensi momenti gore, in quell’ambito teen-gothic cui ormai siamo piuttosto abituati dal filone cine-letterario Young Adult.

Ancora meno innovativa è stata la prima serie originale di Direct TV, Rogue. Questa piattaforma è una sorta di equivalente di Sky (diffonde via satellite diversi canali più o meno tematici), ma finora aveva per lo più replicato serie già esistenti e in qualche caso ne aveva proseguite alcune abbandonate da altre emittenti, come Damages. Rogue comunque è un tentativo troppo timido per imporsi in un mercato tanto affollato.
Tra gli altri canali buttatisi nella mischia si segnalano la premium cable Cinemax, consociata a HBO, con Banshee prodotta da Alan Ball. Sesso e violenza, come ci si aspetta dal canale soprannominato Skinemax, in alcuni episodi arrivano a stupire per la durata di certe scene, come il combattimento alla fine del terzo episodio e i flashback carcerari con il minaccioso albino. Il tono, sempre sopra le righe, ne fa il più delle volte un piacevole guilty pleasure tutto “de panza”.
Cosa che naturalmente non si può dire di The Bible, la prima serie originale di History Channel insieme alla modesta Vikings. Sarebbe più corretto parlare di miniserie, ma è già annunciato un seguito dato l’enorme successo ottenuto, d’altra parte la fiducia della rete nella proprie produzioni seriali era iniziata poco prima di questa stagione con la notevole Hatfields & McCoys di Kevin Reynolds, a cui si spera che History torni a guardare come modello.

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Va poi segnalato lo slancio di realtà fin qui più timide, che hanno stupito con produzioni da contenuti relativamente forti e dalle atmosfere più ricercate, a partire da Hannibal con Mads Mikkelsen, trasmessa su NBC. La serie di Bryan Fuller è forse persino stucchevole nel suo esibizionismo ma di certo ha il merito di aver tentato, sull’equivalente di una nostra generalista, di giocare alle pari con le Tv via cavo. Allo stesso modo una basic cable contraddistinta da produzioni piuttosto mainstream come A&E, ha alzato il livello con Bates Motel, forse spronata dal successo l’anno precedente dell’anomalo poliziesco-western Longmire. Anche un’altra basic cable, TNT, pare diretta su questa strada con Mob City, la serie di Frank Darabont ambientata nel corrotto dipartimento di Los Angeles degli anni Cinquanta. Soprattutto l’anno prossimo anche Amazon entrerà nel mercato, a dimostrare che la Quality Tv va ormai oltre la Tv e ha confini sempre più labili.

FINE 2° PARTE (CONTINUA)

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