venezia-2018

First Man – Damien Chazelle: Dispersioni autoriali

Regia: Damien Chazelle
Sceneggiatura: Josh Singer
Cast: Ryan Gosling, Claire Foy, Jason Clarke
Anno: 2018
Produzione: USA

first-man-recensione

Damien Chazelle è interessante, First Man no. Sarà perché si tratta di un prodotto di sistema (in ballo da inizio secolo) e non espressione diretta e totale dell’esprit del suo regista, ma First Man ha tutte le caratteristiche del film “fatto perché ormai abbiamo detto che lo facciamo”. Difatti è un taciturno clima di disordine quello che pervade il film, quello di una coppia o di un gruppo che non si parla più, di uno stage messo in piedi per dovere, ognuno con la propria scaletta, i propri doveri (ma anche i propri personalissimi piaceri, come vedremo), un wrap finale e poi ognuno per la propria strada.

Se c’è una cosa buona che la Hollywood (più o meno) di sempre ci ricorda e, soprattutto, ricordava, è che “tutti lavorano alla stessa cosa e ognuno a una cosa diversa” quando si fa un film, nel senso che lo scopo ultimo è il risultato (la somma dei singoli risultati), sotto tutti i suoi aspetti. E la storia è piena di aneddoti su tutti gli attriti che possono insorgere facendo un film di sistema, e che proprio da questi scontri (scontri sani, pacifici, legittimi, normali) nascono le cose più interessanti, sia che si tratti di sceneggiature da ricucire, riprese problematiche da risolvere, montaggi da rendere chirurgici, ma anche solo e semplicemente il mood del film.

In First Man tutto questo manca. Una sceneggiatura didascalica e soporifera, una regia distaccata dal resto, una visione executive completamente assente. Quello che sembra importare a Chazelle sembrano unicamente le riprese in senso stretto: prevalgono visivamente atmosfere fosche e malinconiche e il feticismo retrò per la tecnologia. Vincono i singoli istanti, nati orfani da uno script prevedibile quanto la tabellina del due, perde il senso complessivo della visione. E se di film in cui per il regista la sceneggiatura è un semplice pretesto, l’errore di Chazelle è lampante, perché quello spunto va preso, assimilato, inglobato, risolto nei suoi problemi, ricreato nelle sue pecche, rigenerato dove manca di respiro. Una cosa essenziale per la quale Chazelle sembra invece non aver mosso un dito, utilizzando il materiale di partenza come scaletta per superare il muretto che lo divideva dal poter giocare con quel che gli interessava. Il tutto sotto lo sguardo abbioccato dei produttori, rei forse di aver creduto che si potesse trattare di uno di quei film che si fanno da soli.

Condividi

Articoli correlati

Tag