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MAMORU OSHII: ESISTENZIALISMO NEL MONDO CIBERNETICO

Originariamente pubblicato il 20 novembre 2005ghost in the shell

Mamoru Oshii entra di diritto nella stretta cerchia dei grandi dell’animazione giapponese. Al suo fianco nomi come Hayao Miyazaki, Katsuhiro Otomo, IsaoTakahata, Rin Taro, Yoshiaki Kawajiri, tutti autori della stessa generazione, esplosi nei prolifici anni Ottanta. La carriera di Oshii è un climax ascendente, dove la sua idea di cinema si sviluppa lungo una serie di lavori di grande impatto, ulteriori testimonianze di una poetica emblematica nell’universo “anime” e nel cinema in generale.

Oshii nasce l’8 agosto 1951. Negli anni della formazione egli tradisce un amore viscerale per la concezione tarkovskijana di cinema, confermata d’altronde dai tempi morti (funzionali) che caratterizzano le sue pellicole. Negli anni SessantaOshii si avvicina al movimento di protesta contro il rinnovo del Trattato di mutua e reciproca difesa, stipulato con gli Stati Uniti, che alla fine della guerra, com’è noto, avevano imposto al Giappone una Costituzione democratica di stampo liberale molto simile a quella americana (specie nella presenza forte del Primo Ministro e del Parlamento bicamerale). In questa sua sensibilità politica di sinistra Oshii può sicuramente essere accostato ad una figura importante della cinematografia giapponese: Nagisa Oshima, che fece delle proteste giovanili di quegli anni il perno centrale del suo primo cinema. Dopo la laurea conseguita nel 1976, Oshii comincia a collaborare ad alcune serie televisive, fra cui ricordiamo Yattaman.  Ma è con Urusei yatsura (in Italia Lamù) che Oshii inizia a impratichirsi nella regia, coadiuvato da un team che diverrà gruppo fondamentale in tutti i suoi lavori (Kazunori Ito alla sceneggiatura, Takada Akemi al character design). Con la riduzione cinematografica della serie stessa (dal titolo Beautiful dreamer) Oshiiapprofondisce le sue ossessioni, fra cui il labile confine fra sogno e realtà, tema centrale del futuro Avalon e in maniera parziale in Innocence. Il 1985 è l’anno di Tenshi no tamago (Angel’s egg), un film profondo e sperimentale, dal taglio surrealista, con richiami a 2001: Odissea nello spazio di Kubrick e a certi lavori herzoghiani. L’uso di una musica funzionale che prende il sopravvento sulle parole, la tenebrosa scenografia, a metà strada fra Giger e Bosch, rendono Tenshi no tamago unico non solo nella filmografia oshiiana, ma nell’intero panorama animato giapponese. Oshii, pur essendo semi-esordiente, affronta il sistema, imponendo le sue regole. Ed è proprio questa spinta sperimentale a portare il regista a realizzare una serie di mediometraggi “dal vivo”, che approfondiscono ulteriormente la sua ossessione per il sistema politico, in qualche modo riflesso della situazione animale/hobbesiana dell’uomo.Oshii realizza dunque Akai Megane – Red Spectacles, primo di una trilogia che sarà poi conclusa solo negli anni Novanta, con Stray Dogs Kerberos panzercops (1990) e Talking Head (1992).

Nel 1988 Mamoru Oshii, assieme al gruppo Headgear realizza una serie di culto, vera e propria rivoluzione per il genere: Patlabor.  Nel 1990 e nel 1993 egli gira i due lungometraggi di Patlabor, costole della serie, eppure più vicini alla poetica cinematografica di Oshii, che a quella televisiva. Specialmente Patlabor 2, che immagazzina al suo interno tutti gli elementi concettuali che hanno caratterizzato il cinema di Oshii negli anni Ottanta. In effetti Patlabor 2 si può considerare come il punto di non ritorno di tale cinema, il film che ha segnato una svolta epocale nella sua carriera. La perfetta mistura di suspance politica e terroristica, sorretta da un impianto di sceneggiatura solido e profondo, che si fonda sul dualismo pace ingiusta/guerra giusta, rendono il film un capolavoro in grado di tenere testa a tante pellicole occidentali eccessivamente idolatrate. Si pensi ai monologhi/dialoghi disseminati lungo il film, accompagnati da una colonna sonora metafisica e da immagini dettagliate di un mondo morente. Oppure alla dialettica sogno/realtà, perfettamente inserita in un contesto reale (perché politico) come quello narrato. Inoltre non bisogna dimenticare quale sia stato il grado di “preveggenza” di Patlabor 2, che anticipa la situazione internazionale contemporanea.

Il cinema di Oshii gioca sulla compenetrazione di reale (che è assorbito da una situazione storico-politica particolare) e sogno (che a sua volta riflette le paranoie esistenzialiste dei singoli individui), quindi sulla dialettica pubblico/privato, macro/micro.
Nel 1995 il regista nipponico realizza il suo film più conosciuto, presente fuori concorso al Festival del cinema di Venezia, la sua opera più riuscita, almeno dal punto di vista dell’equilibrio formale tra stile e contenuto: Ghost in the shell. Nel raccontare la storia di un cyborg che si interroga sulla propria essenza spirituale (quindi esistenziale), Oshii recupera la letteratura di Philip K.Dick, la filtra con la visionarietà derivante da Blade runner e ne sintetizza il risultato finale tramite una sensibilità innanzitutto giapponese, poi sua propria. Come e più di prima, Oshii si diverte a disseminare l’opera di profondi simbolismi ed elementi metaforici, come le sequenza in cui Motoko Kusanagi vede sé stessa sotto forma di una manichino e come essere umana vivente. Ad osservarla, un cane triste, emblema della condizione umana. A questo proposito è necessario ricordare quale valore assume la figura del cane e quella del gatto, entrambi simboli di visioni del mondo differenti e contrapposte, l’una fiduciosa, l’altra cinicamente pessimista.

Il successo ottenuto con Ghost in the shell porta Oshii ad eclissarsi per un lungo periodo dalla regia. Egli tenderà a curare sceneggiature di film girati da altri, che però manterranno indelebile l’impronta di Oshii stesso. È il caso di Jinroh, capolavoro assoluto del cinema e dell’animazione, in cui la visione esistenziale di Oshii diventa assioma radicale applicato ad una realtà politica affine all’esperienza del regista, quella dei travagliati anni Sessanta. Il parallelo fra la favola di Cappucetto Rosso (quella non edulcorata) e la condizione umana, in parte ispirata alla filosofia di Hobbes, diventa punto di partenza per illustrare un mondo già morto perché orfano di sentimenti sinceri, come l’amore o la speranza.

Nel 2000 esce nelle sale Blood - The last vampire, la cui sceneggiatura è firmata nuovamente dallo stesso Oshii. Ancora una volta il parallelo dall’alto tasso metaforico assume rilevanza nella storia di una vampiro che caccia altri vampiri nel Giappone degli anni Sessanta, prima della guerra in Vietnam. Non è un caso che le immagini mostrate durante i titoli di coda siano proprio della “sporca guerra”.
Il ritorno di Oshii alla regia è segnato da un film dal vivo, Avalon, fuori concorso a Cannes. Girato in Polonia con attori europei, Avalon è il Matrixgiapponese, pregno di autorialità, specie nell’uso dei tempi morti, che divengono momenti di astrazione intensa, in cui il regista concentra tutta la sua carica simbolica.
Dopo essersi dedicato alla serie di Ghost in the shell (due serie da 26 episodi ciascuna), Oshii sigla il sequel definitivo del suo film più amato e conosciuto: Ghost in the shell 2: Innocence. Presente in concorso al Festival di Cannes, Innocencetradisce un certo uso inappropriato della tecnologia digitale, palesemente di maniera, ma conferma le doti registiche di Oshii, nonché la sua predilezione a tematiche profonde e coerenti alla sua filmografia precedente. Con InnocenceMamoru Oshii dimostra ancora una volta la sua volontà di imporre al sistema non un cinema di sensazione e intrattenimento, ma un cinema autoriale e difficile, non adatto al pubblico medio, espressione di una filosofia orientale che a stento l’Occidente riesce a comprendere, abituato a estetismi barocchi e vuoti. Il suo cinema non è mai decontestualizzato, poiché mantiene una coerenza tematica difficile da ritrovare nell’opera di autori contemporanei.

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