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Il demone sotto la pelle (provaci ancora, Vallée): DALLAS BUYERS CLUB di Jean-Marc Vallée

 dallas buyers club (1)

REGIA: Jean-Marc Vallée
SCENEGGIATURA: Craig Borten, Melisa Wallak
CAST: Matthew McConaughey, Jared Leto, Jennifer Garner
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2013

Brutto (o meglio imbruttito), sporco (effetto collaterale di sesso non protetto, cavalli e Texas) e cattivo (uguale: omofobo), Ron Woodroof ride in faccia ai medici che gli diagnosticano l’Aids, “roba da finocchi”. In verità è roba – anche – da tipi come lui, e lo sconcerto incredulo lascia il posto allo shock, alla rabbia, alla frustrazione che insieme lo portano verso territori fino a quel momento volutamente insondati e disprezzati. Verso, cioè, una partitella a carte con un trans compagno di stanza d’ospedale, che si trasforma in una vera e propria alleanza: i due mettono su un club, appunto, piuttosto clandestino, in cui ‘spacciano’ farmaci vietati dalle case farmaceutiche e che tuttavia permetteranno a Woodroof di sopravvivere sette anni in più di quanto pronosticato (il film è scandito da un conto alla rovescia verso i 3 mesi che inizialmente sono la sua più ottimistica speranza di vita).

La strana coppia outsider (che impara a volersi bene) contro il sistema, i deboli contro il potere, con un’amica poco d’eccezione, l’immancabile pugnace bella infermiera occhialuta (oh, Jennifer Garner, l’attrice di cui continueremmo a dimenticarci non fosse per queste casuali sporadiche apparizioni): Dallas Buyers Club è, banalmente, tutto qui. Purtroppo. Purtroppo perchè una storia (vera, ca va sans dire) che rimane su carta senza affondarci mai nella pelle superando la sua semplice esposizione di denuncia e necessità di narrazione. Purtroppo perchè il regista (Jean-Marc Vallée) ben altra e gran cosa aveva fatto con C.R.A.Z.Y. e col precedente Café de flore, in cui operava una graduale erosione dell’ordinariamente atteso, delle previsioni spettatoriali, un racconto altamente infiammabile che alla fine mescolava grandiosamente tempo, amore, anime, affinità alchemiche e intellettive, sputando con inaudito coraggio, ambizione e un pelo di provocazione contro il risaputo. Mentre qui il massimo che possiamo dire è che brucia a fuoco lento, senza mai incendiarsi: tutto è già chiaro, scoperchiato sulla superficie e lì rimane, scarnificato, asciutto come i nostri occhi. Qualche impennata la vediamo giusto un attimo, nella scena (quasi surreale, quasi spirituale) delle falene. Ma finisce lì.
Dallas Buyers Club è proprio come il corpo del suo Matthew McConaughey: annullato, asciugato, privato di respiro. Ma non ferisce la vista, come la carne risucchiata dell’attore: semmai, rischiara le aspettative familiari e rassicura la coscienza.

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