COLD FISH di Sion Sono – Venezia 2010 Orizzonti

REGIA: Sion Sono
SCENEGGIATURA: Yoshiki Takahashi
CAST: Makoto Ashikawa, Denden, Asuka Kurosawa
ANNO: 2010

VENEZIA 2010: DISSOLVENZA IN NERO

Sion Sono batte pesante sul crudo tamburo della violenza. E non è certo la prima volta che il regista ci propone film grondanti di sangue. Suicide Clubiniziava con una quarantina di ragazze che si suicidavano lanciandosi allegramente sotto un treno della metropolitana di Tokyo. Spettatori disgustati e critici perbenisti (ma esistono ancora?) che scuotono la testa in segno di disapprovazione.

Cold Fish tuttavia è  molto, ma molto più efferato. Violenza estrema, carne cruda da mangiare rigorosamente con le mani, che in alcuni momenti tocca le vette di uno slasher-movie, senza però mai farsi rinchiudere in un genere. Perché, e questo è bene dirlo, Sion Sono è tutt’altro che un regista di genere. I suoi film sono trans-gender, vanno al di là dei generi, si servono di essi e li sfruttano per creare nuove e insolite composizioni floreali. Love Exposure, il capolavoro del regista giapponese, in questo senso ne è l’esempio migliore: si muove tra l’action movie in salsa HongKongese, il pinku-eiga voyeuristico, il dramma sentimentale, la commedia degli equivoci, il film epico. Un’opera totale, un film sul cinema e sui diversi modi di fare cinema.

Da questo punto di vista Cold Fish rappresenta un tentativo molto più compatto e dunque meno evasivo alla schietta definizione. Si tratta, per così dire, di un thriller. Ma, a differenza della maggior parte dei thriller, il tema cardine attorno a cui ruota ogni evento è la famiglia. Famiglia in crisi, in eterna crisi a quanto emerge vedendo i film di Sono, che parlano sempre di padri e di figli, di madri e di figlie, in un gioco di continue sostituzioni e traslazioni. Sono famiglie, quelle rappresentate da Sono, che si distruggono per poi ricrearsi. Ragazze che fuggono in cerca di una nuova casa, matrigne che suppliscono alla morte di una madre, padri che uccidono nella speranza di riconquistare il proprio ruolo. E dietro a tutto ciò l’ombra del sesso e il potere della violenza, binomio inscindibile di eros e thanatos che governa ogni nostra azione. 

A pensarci bene Cold Fish pare una versione pessimista di Visitor Q. Come nel film di Miike anche qui un personaggio sconosciuto, il signor Murata, fa di colpo irruzione nella vita famigliare dei protagonisti. Ma se in Visitor Q questo personaggio era in grado di portare una nuova armonia per l’intera famiglia, qui non fa che acuire i conflitti e rendere tutto più instabile. Il signor Murata, per il quale fin dall’inizio nutriamo un’inevitabile antipatia, per la sua ricchezza, per i suoi modi di fare sopra le righe e soprattutto per la sua smodata ipocrisia, è una vera e propria bomba ad orologeria. Dopo due ore esplode e disintegra tutto, anche la nostra capacità critica. Noi, che all’inizio del film eravamo retti, noi che odiavamo il signor Murata e la sua malvagità, ad un certo punto perdiamo la bussola. Non riusciamo più a sopportare il protagonista, il suo buonismo, il suo amore verso moglie e figlia. Una delle grandezze del film sta proprio in questo mostruoso sconvolgimento: Iniziamo a tenere per i cattivi, per i violenti, per gli assassini. Le parole di Murata in questo senso ci benedicono e ci convincono definitivamente a scegliere il lato oscuro: “Sarà anche vero che uccido la gente, ma almeno io i problemi poi li metto a posto!” Un genio assoluto. Se si candidasse alle elezioni lo voteremmo senza dubbio.

Chi ha la forza merita di governare, chi non è in grado di usarla merita di soccombere. Padroni e servi. Il protagonista fa parte di questi ultimi, è un servo. Almeno finché non sarà in grado di ribellarsi. Lui, come noi, ha perso ogni bussola. Proprio in questo momento, sulla via della completa follia, il regista ci tira uno scherzo e riavvia il film, ripetendo la scena iniziale tale e quale. La simpatica famigliola che mangia in silenzio attorno al tavolo. Tutto sembra uguale all’inizio, ma in realtà tutto è completamente diverso, perché noi siamo diversi: la nostra morale è cambiata.

Il protagonista nella sua pazzia ha deciso di riprendere con la forza il suo ruolo di padre di famiglia.

E noi saremo con lui. Rideremo quando picchierà la figlia e rideremo quando stuprerà la moglie.

Solo a film finito ci renderemo conto dell’atrocità di tutto ciò. Solo a film finito, forse, ritroveremo quel briciolo di ragione per segnarci il nome del regista:Sion Sono. Cercate di non dimenticarvelo.

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