WOMB di Benedek Fliegauf
REGIA: Benedek Fliegauf
SCENEGGIATURA: Benedek Fliegauf
CAST: Eva Green, Matt Smith, Lesley Manville, Peter Wight, Hannah Murray
NAZIONALITÀ: Germania, Ungheria, Francia
ANNO: 2010
USCITA: 6 luglio 2012
L’AMORE CHE (NON) MUORE
Che sarebbe successo se ai tempi delle storie di Edipo e Giocasta fosse stata già in voga l’ingegneria genetica? Qualcosa di vicino a quel che espone Womb, o a quel che riporta la fantascienza affascinante di Splice, probabilmente.
Se il racconto dell’incesto nella coscienza tragica ellenica coinvolgeva un Figlio e una Madre, uniti carnalmente da un Fato beffardo, nel film di Benedek Fliegauf vediamo una Donna decidere di diventare Madre del clone dell’Uomo che amava, morto: al Mito subentra la Tecnica, al Destino, la Scelta. Così Womb è il racconto della storia di un amore, quello tra Rebecca e Tommy, che da ragazzini li accompagna nell’età adulta e poi oltre, e contemporaneamente riflessione sui temi della vita e della morte e della clonazione come scorciatoia per il ritorno da quest’ultima alla prima. Nella storia di Rebecca e Tommy, infatti, il passaggio fondamentale è proprio la morte del ragazzo in un incidente stradale; la morte di una metà della coppia non è tuttavia la morte dell’amore, né del rapporto, ma solo una cesura in esso, cesura che Rebecca decide di superare sottoponendosi all’inseminazione del clone di Tommy, cui sceglie, anche contro il volere della madre genetica del ragazzo, di ridare la vita. Quello di Rebecca è un amore unico, totalizzante, senza limiti: un amore che passa sopra la morte dell’amato, un amore sospeso tra ossessione e purezza assoluta.
La fantascienza, e al cinema anche più che in altre espressioni, è da sempre terreno fertile per indagare temi e interrogativi pesanti, di confine (è quasi superfluo citare capisaldi come 2001: Odissea nello Spazio, Solaris, Blade Runner…), e non è dunque un caso se Fliegauf sceglie di mettere in scena i suoi Giocasta ed Edipo moderni rendendo il loro dramma romantico con le sfumature e i sapori della fantascienza. Solo, stavolta non ci sono di mezzo astronavi, androidi, galassie ignote da esplorare, ma un isola selvaggia e sublime, sospesa nel tempo e nel Mare del Nord, le tecniche di clonazione e un misterioso centro di pratiche cibernetiche che somiglia a un incrocio tra l’Overlook Hotel e un Centro Benessere di provincia, i sentimenti come specchio dell’ignoto spazio profondo (quello dentro di noi). Cambiano i luoghi e le connotazioni, non i problemi di fondo: Rebecca e Tommy vengono emarginati quando la gente dell’isola capisce che Tommy non è Tommy, o meglio che Tommy è un altro Tommy (uguale eppure non lo stesso) che ha già calcato le stesse spiagge anni prima, prima di morire. Rebecca allora sceglie di isolarsi ancora di più, si rinchiude col bambino in una casa sul mare, lontana da ogni cosa, ma capisce anche che se per lei il Figlio-Immagine dell’amato è Tutto, per lui verrà il tempo in cui dovrà vivere una vita sua, una vita sua propria, e non più di sembionte della madre. Anche Tommy, come tutti, avrà vent’anni, andrà al college, porterà sull’isola a trascorrere le vacanze la ragazza che gli piace, e sarà allora che Rebecca realizzerà in modo doloroso il distacco della nascita, cristallizzatosi in una sindrome da depressione post-partum ritardata di vent’anni, e sarà un distacco doppiamente doloroso perché il Tommy a cui ha (ri)dato la vita per non far morire il suo amore ha ora lo stesso volto del Tommy precedente, di quando lui è morto, e che l’amore che lei ha provato a perpetuare aveva comunque una data di scadenza. L’eternità non è data nemmeno al più grande dei sentimenti, Rebecca, e su un’isola spazzata dai venti e dalla pioggia, nascosta alla civiltà che pure ti ha dato l’opportunità di fare tornare l’uomo che amavi, non è poi tanto diverso che in mezzo alla folla della città spremuta nelle strade, all’ora di punta.
Il regista accarezza lo spettatore, per la prima parte della storia gli sussurra: guarda che belli che sono, questi due ragazzini che si rincontrano dopo 12 anni e sono ancora innamorati come se quel tempo non fosse passato… poi si allontana dall’orecchio e punta il dito alla schermo dicendo: guarda adesso, quanto è terribile il prezzo del sacrificio che Rebecca fa per amore. Lo spettatore non può far altro che guardare a queste due facce della medaglia, e intanto a pensare che tra le due facce, quando la prima cede il passo alla seconda, c’è quella meravigliosa (e terribile) scena dell’incidente stradale che coinvolge Tommy, e la scena è in realtà il fuoricampo di un clacson e una botta, mentre la camera segue Rebecca; la regia è la prima a rifiutare quella morte, prima anche della protagonista, prima anche di noi che la guardiamo succedere (senza vederla), perché Womb non parla della morte di un uomo, ma della vita (di lei, di lui, di tutti gli altri) dopo la morte di quest’uomo. La sfida alla Natura, la sfida al Tempo. Come nel Mito greco.